Giurisprudenza

9 Novembre 2018

Prova del corrispettivo al nero: la denuncia penale è “spia seria”

Giurisprudenza

Prova del corrispettivo al nero:
la denuncia penale è “spia seria”

Le registrazioni delle telefonate, avvenute tra la persona offesa e il soggetto che ha incassato il cash, possono avvalorare l’apparato indiziario nei confronti dell’accertato

Prova del corrispettivo al nero: |la denuncia penale è “spia seria”

La Ctr di Firenze, con la sentenza n. 1955 depositata il 7 novembre 2018, ha stabilito che anche una denuncia penale poi archiviata, corredata da registrazioni di conversazioni dalle quali si desume un passaggio di denaro contante in nero, che coinvolge un socio di una Sas, può costituire fondamento per accertare un maggior reddito alla stessa società ex articolo 41-bis Dpr 600/1973 e per imputarlo ai soci.
 
Il fatto
La controversia origina da due avvisi di accertamento con cui la direzione provinciale di Firenze dell’Agenzia delle entrate accertava un maggiore reddito di impresa in capo a una società in accomandita semplice fiorentina e, conseguentemente, il reddito di partecipazione in capo ai soci, ex articolo 5 del Tuir.
In particolare, l’impulso all’attività accertativa era stato fornito da una segnalazione della procura della Repubblica presso il tribunale di Firenze, avente a oggetto un esposto dal quale, secondo l’ufficio, sarebbe emerso un passaggio di denaro in nero (si trattava di canoni di locazione per banchi di mercato) tra l’esponente e un socio della società accertata.
 
Le doglianze del contribuente
Nei propri ricorsi, la parte contribuente eccepiva, tra l’altro, la nullità dell’attività impositiva per difetto assoluto dei requisiti indiziari sui quali fondare gli avvisi di accertamento. In sostanza, la parte privata contestava che, dall’esposto dell’affittuario, che tra l’altro non coinvolgeva il rappresentante legale della società, l’ufficio potesse addivenire all’accertamento di maggiore materia imponibile a carico della compagine societaria.
 
La posizione dell’ufficio e la pronuncia della Ctp di Firenze
Di contrario avviso si mostrava l’ufficio che, invece, opponeva il rispetto del disposto normativo di riferimento e la congruità del materiale probatorio di riferimento.
 
I giudici di prime cure, nel respingere i ricorsi riuniti, hanno valutato la gravità e l’utilizzabilità ai fini fiscali degli elementi indiziari che hanno spinto la procura della Repubblica fiorentina, pur richiedendo l’archiviazione della notizia di reato, a ritenere che fosse stato pattuito il pagamento di una parte del canone di locazione a nero e, di conseguenza, a disporre la comunicazione di copia degli atti del procedimento al competente ufficio finanziario.
 
La sentenza della Ctr
Consequenzialmente al gravame notificato all’ufficio, veniva investita della decisione la Ctr di Firenze.
Punto nevralgico del deliberato è la motivazione che il Collegio regionale pone a fondamento del rigetto di uno dei motivi di appello del contribuente, con cui quest’ultimo eccepiva l’errata valutazione, da parte dei giudici di primo grado, degli elementi probatori a essi sottoposti.
Secondo la Ctr, invece, “le dichiarazioni rese dal denunciante, integrate dalle registrazioni delle conversazioni tenute in due incontri svoltisi alla presenza” di due soci della società, “dal cui esame si evinceva il passaggio di denaro contante in nero relativamente all’affitto dei due banchi, non solo evidenziano una responsabilità, oltre che un coinvolgimento”, di uno dei soci “nella vicenda fattuale, ma sono state ritenute sufficienti per accertare il maggior reddito” della società ex articolo 41-bis, Dpr 600/1973, e per imputarlo ai soci.
L’Ufficio, nella sostanza”, continua il Collegio toscano, “ha agito utilizzando la documentazione fornita dalla Procura della Repubblica da cui sono emersi indizi gravi, precisi e concordanti, che hanno portato da un lato a ritenere” il soggetto denunciato “reale gestore delle licenze, nonché richiedente e percettore materiale del denaro contante in nero (soggetto interposto), dall’altro, ad imputare tali somme in capo alla società proprio perché corrisposte in aggiunta al canone di locazione pattuito contrattualmente tra le parti (soggetto interponente)”.
 
Nel corpo della sentenza, i giudici toscani hanno occasione di chiarire anche che “le registrazioni” allegate alla denuncia “rappresentano un indizio grave e preciso della veridicità di quanto denunciato e confermato a verbale di sommarie informazioni” da parte del denunciante: da questo materiale si evince, in definitiva e contrariamente alla prospettazione di parte contribuente, il passaggio di denaro contante in nero relativamente all’affitto dei banchi, fondante l’attività impositiva dell’ufficio.
 
Osservazioni conclusive
La vertenza in questione dimostra come l’apparato indiziario alla base dell’attività impositiva possa emergere da elementi del tutto atipici.
Nel caso di specie, infatti, l’ufficio ha agito utilizzando la documentazione fornita dalla procura della Repubblica da cui sono emersi indizi gravi, precisi e concordanti, oltre che chiari e inequivoci, che hanno portato, da un lato, a ritenere un soggetto, non il rappresentante legale della società, reale gestore delle licenze, nonché richiedente e percettore materiale del denaro contante in nero e, dall’altro, a imputare tali somme in capo alla società stessa, proprio perché corrisposte in aggiunta al canone di locazione pattuito contrattualmente tra le parti.
In questo senso, la procura della Repubblica presso il tribunale di Firenze, nell’archiviare il procedimento per estorsione (non essendo ravvisabile un qualche profilo di minaccia di danno ingiusto nella condotta dell’indagato), ha dedotto che la persona offesa si fosse determinata a concludere un contratto di affitto con la pattuizione del pagamento di una parte del canone al nero e “tale condotta risultava avere mera rilevanza fiscale”.
 
Orbene, è opinione nota che nel processo penale occorre la prova “oltre ogni ragionevole dubbio” della colpevolezza dell’imputato.
Al contrario, nel processo civile, come pure nel processo tributario, è sufficiente raggiungere la prova mediante il coefficiente probabilistico cosiddetto del “più probabile che non”: infatti, un apparato indiziario, purché – come detto – grave, preciso e concordante, è bastevole per reperire maggiore materia imponibile.
E questo apparato “serio” è certamente evidente nel caso di specie, in cui il presupposto di fatto, rappresentato dalla segnalazione della procura della Repubblica, circostanziata dalle registrazioni, che non vi era motivo di ritenere false anche per la serietà del “mezzo” – ossia la denuncia penale – con cui è stato esplicitato, ha fatto emergere con evidenza lo scambio di denaro contante in nero tra i soggetti in questione.
 
In definitiva, l’ufficio ha provato con mezzi atipici, ma ragionevoli, la materia imponibile sottratta a tassazione, impossibile da provare con mezzi documentali.
 

Martino Verrengia

pubblicato Martedì 27 Novembre 2018

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