Normativa e prassi

14 Ottobre 2020

Per i compensi al prof olandese, esenzione biennale non ripetibile

Il trattamento di favore, se replicato nel tempo, tradirebbe lo spirito della Convenzione fra Italia e Paesi Bassi, esponendola a valutazioni di convenienza fiscale da parte di chi fruisce dell’esenzione nello Stato della fonte, che finirebbe per soggiornarvi in maniera sostanzialmente stabile, fatta eccezione per brevi interruzioni finalizzate a creare le condizioni per beneficiare del Trattato. Per questo motivo, è inapplicabile la non imponibilità degli emolumenti spettanti, per l’anno accademico 2019-2020, a un docente “a contratto”, residente in Olanda, che ha già fruito dell’esenzione per le attività prestate negli anni accademici 2016-2017 e 2017-2018.

Il caso rappresentato nell’istanza di interpello risolta con la risposta n. 472 del 14 ottobre 2020 riguarda un professore, residente nei Paesi Bassi, che per gli anni accademici 2016-2017 e 2017-2018 ha stipulato due contratti per insegnare in Italia, attività inquadrata come collaborazione coordinata e continuativa. Gli emolumenti non sono stati tassati in Italia, ai sensi dell’articolo 20 della Convenzione fra Italia e Paesi Bassi per evitare le doppie imposizioni.
Essendo stato stipulato un nuovo contratto per l’anno accademico 2019-2020, viene chiesto se, per i relativi redditi, è possibile beneficiare nuovamente della non imponibilità. Questo, perché il citato articolo 20 prevede l’esenzione per un periodo non superiore a due anni: il dubbio è se il vincolo temporale vada considerato una tantum o se possa essere riferito a ogni singolo contratto che comporta soggiorno nello Stato in cui è svolta l’attività di insegnamento o di ricerca.

L’Agenzia, in premessa, ricorda che le somme e i valori percepiti in relazione ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa costituiscono redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente (articolo 50, comma 1, lettera c-bis), Tuir), assoggettati a tassazione con le stesse modalità di quei redditi (articolo 52, comma 1, Tuir) e, se corrisposti da un sostituto d’imposta, soggetti a ritenute alla fonte (in particolare, in caso di percettori non residenti, si applica una ritenuta a titolo di imposta nella misura del 30% – articolo 24, comma 1-ter, Dpr n. 600/1973).
Tuttavia, in virtù dell’articolo 20 del Trattato, le remunerazioni provenienti da uno Stato contraente e corrisposte a professori, insegnanti e ricercatori che soggiornino in tale Stato a soli fini di insegnamento o ricerca, sono riconosciute di esclusiva pertinenza impositiva dello Stato di residenza; il Paese della fonte, quindi, rinuncia al suo potere di tassazione, seppure per soli due anni.

Il dubbio riguarda proprio l’applicazione del limite temporale, nel caso in cui il professore permanga in Italia per un tempo complessivamente superiore.
Secondo l’Agenzia, la non imponibilità riguarda un solo periodo non superiore a due anni consecutivi dall’inizio del soggiorno. Infatti, se si fosse voluto riconoscere il trattamento agevolato per più periodi di due anni ciascuno, la locuzione usata dalla norma convenzionale non sarebbe stata “per un periodo non superiore a due anni”, ma “per periodi non superiori a due anni”.
Inoltre, replicando l’esenzione, la Convenzione rimarrebbe esposta a valutazioni di convenienza fiscale da parte di chi ne fruisce, che finirebbe per soggiornare nello Stato della fonte in maniera stabile, con brevi interruzioni fatte allo scopo di creare le condizioni per beneficiare del trattato. E, in più, verrebbero a essere penalizzati coloro che rimangono nel territorio dello Stato per più di due anni consecutivi, senza poter fruire del regime di esenzione.
In conclusione, nel caso rappresentato, l’intervallo dell’annualità 2018-2019, durante il quale il docente non ha soggiornato in Italia, non fa ripartire il conteggio dei due anni e, quindi, non consente di escludere dalla tassazione anche i redditi relativi all’anno accademico 2019-2020.

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