28 Maggio 2020
Reato di omesso versamento Iva: a “pesare” è solo il dichiarato
La Corte di cassazione, con la sentenza n. 12378 del 17 aprile scorso, ha stabilito che, ai fini dell’integrazione del reato di omesso versamento Iva, ex articolo 10-ter del Dlgs n. 74/2000, l’entità delle somme da versare è quella risultante dalla dichiarazione del contribuente e non quella effettiva desumibile dalle annotazioni contabili.
Processo di merito
La Corte di appello di Brescia confermava la condanna inflitta a un imputato, alla pena di sei mesi di reclusione oltre alle pene accessorie, per il reato ex articolo 10-ter del Dlgs n. 74/2000 perché, quale legale rappresentante di una srl, non aveva versato entro il termine l’Iva dovuta in base alla dichiarazione annuale.
Ricorso di legittimità
L’imputato proponeva, quindi, ricorso per cassazione, affidato a due motivi di diritto.
Tra le sue doglianze, lamentava il vizio della motivazione del deliberato impugnato riguardo alla valutazione dell’imputato, il quale aveva riferito che l’importo indicato nella dichiarazione Iva era il frutto di un errore del commercialista, in quanto non era credibile che una piccola ditta individuale, senza dipendenti, potesse aver fatturato importi superiori al milione di euro. A sostegno di ciò, aveva prodotto alcune fatture.
Il ricorrente, privo di nozioni di contabilità, in sostanza, si sarebbe fidato del proprio commercialista e la Corte di appello bresciana si sarebbe limitata ad affermare la responsabilità dell’accusato solo perché egli aveva firmato la dichiarazione quale rappresentante legale, assumendosene la responsabilità.
Decisione della Suprema Corte
La Cassazione ritiene, in gran parte, inammissibili i motivi di ricorso avanzati dall’imputato, per motivi squisitamente processuali.
Tuttavia, i giudici di legittimità colgono l’occasione per affermare una serie di principi, rilevanti ai nostri fini.
Il ricorrente, osserva la Corte, legale responsabile della srl, ha sottoscritto la dichiarazione e non ha, poi, versato gli importi dovuti. È proprio dalla presentazione della dichiarazione annuale, effettuata dal ricorrente, che emerge, secondo la Corte, quanto è dovuto a titolo di imposta.
Reato di omesso versamento Iva
Il giudice di legittimità, infatti, ha avuto già occasione di stabilire che, ai fini dell’integrazione del reato di omesso versamento dell’Iva (articolo 10-ter, Dlgs n. 74/2000), l’entità della somma da versare, costituente il debito Iva, è quella risultante dalla dichiarazione del contribuente e non quella effettiva, desumibile dalle annotazioni contabili (Cassazione, pronuncia n. 14595/2018).
Non rileva neanche, per ragioni di tipicità, se l’importo relativo all’Iva sia stato effettivamente incassato.
La giurisprudenza citata ha, in sostanza, affermato che il debito erariale non deve risultare dai registri delle fatture emesse o dalle fatture o dalla contabilità di impresa o, ancora, dal bilancio: il debito erariale rilevante ai fini del reato di omesso versamento dell’Iva è solo quello oggetto della dichiarazione annuale.
Centralità della dichiarazione Iva
La presentazione della dichiarazione, continua la Corte, costituisce un presupposto necessario ai fini della consumazione del reato (in questo senso, si è espressa la Cassazione con le decisioni n. 37424/2013 (sezioni unite) e n. 6293/2010), tant’è che l’autore del reato deve necessariamente rappresentarsi che l’oggetto della condotta omissiva è esattamente (ed esclusivamente) il debito dichiarato.
Sul punto, le sezioni unite hanno chiarito che la prova del dolo è insita, in genere, nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta e che deve, quindi, essere saldato o almeno contenuto non oltre la soglia, entro il termine previsto.
Conclusioni
Il tema della non corrispondenza del debito dichiarato (superiore alla cosiddetta soglia penalmente rilevante, ossia l’ammontare di 250mila euro per ciascun periodo di imposta) con quello che risulta dalla contabilità dell’impresa (nell’ipotesi in esame, a essa inferiore) non ha, in definitiva, alcuna rilevanza posto che, come già rilevato, la fattispecie, per chiara scelta legislativa, non è strutturata intorno al debito effettivo, ma solo a quello dichiarato.
Le discrasie tra il debito erariale dichiarato e quello effettivo hanno, invece, chiosa la Corte suprema, il proprio terreno elettivo nei reati in materia di dichiarazione previsti dagli articoli 2, 3 e 4, del Dlgs n. 74/2000, i quali ben possono concorrere con quello del richiamato 10-ter dello stesso decreto.
Inoltre, la fattispecie di omesso versamento Iva, si può osservare, differisce da molte delle condotte sanzionate dal Dlgs n. 74/2000 poiché, in genere, queste ultime richiedono che il comportamento illecito sia mosso dal dolo specifico di evasione (negli articoli 2 e 3, ad esempio, è contenuto l’inciso “al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto”), mentre l’articolo 10-ter menzionato prevede il dolo generico.
In definitiva, per la commissione del reato da ultimo nominato è sufficiente la coscienza e volontà del fatto materiale tipico, ossia il non versare all’Erario l’Iva, entro il termine per il versamento dell’acconto del periodo di imposta successivo, senza che abbia alcun rilievo la finalità specializzante, che eventualmente muova la condotta dolosa in concreto.
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