Giurisprudenza

10 Aprile 2018

L’inerzia del curatore legittimal’azione dell’ex rappresentante

Giurisprudenza

L’inerzia del curatore legittima
l’azione dell’ex rappresentante

Solo nel caso in cui abbia manifestato un reale disinteresse nei confronti della difesa, non quando sussiste un’esplicita decisione di non promuovere un ricorso giudiziario

L’inerzia del curatore legittima|l’azione dell’ex rappresentante

L’imprenditore fallito non è legittimato a impugnare l’avviso di accertamento al posto del curatore che decide di non promuovere l’azione giudiziaria per tutelare la massa dei creditori.
È quanto affermato dai giudici della Corte della cassazione con l’ordinanza 8132 del 3 aprile 2018, che ha accolto il ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate e condannato l’imprenditore al pagamento delle spese di lite.
 
La vicenda processuale
La controversia su cui si è pronunciata la Corte di cassazione nasce da avvisi di accertamento per imposte dirette e Iva per gli anni 2004 e 2005 notificati a una srl in fallimento.  
Il ricorrente, nella qualità di legale rappresentante della predetta società, proponeva ricorso in Commissione tributaria provinciale, mentre il curatore destinatario della notifica riteneva di non proporre impugnazione.
In primo grado l’ufficio aveva sollevato la questione della legittimazione processuale del ricorrente, atteso che la società era in fallimento e che il curatore, non inerte, aveva ritenuto scientemente di non promuovere l’azione giudiziaria.
La Commissione di primo grado accoglieva parzialmente il ricorso rigettando l’eccezione di legittimità processuale; seguiva l’appello dell’ufficio rigettato dalla Commissione tributaria regionale.
In particolare, i giudici di secondo grado non avevano vagliato la questione relativa alla legittimazione processuale del fallito e avevano dichiarato invalidi gli atti impositivi a causa del mancato rispetto del contraddittorio endoprocedimentale.
 
La decisione della Corte di cassazione
Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate denuncia la violazione/falsa applicazione dell’articolo 43 della legge fallimentare, poiché la Ctr ha omesso di rilevare il difetto di legittimazione attiva dell’imprenditore fallito, quale legale rappresentante della società in fallimento, a impugnare gli atti impositivi oggetto della lite.
La Cassazione ha accolto il ricorso e affermato che non sussiste la legittimazione dell’ex legale rappresentante della società contribuente fallita, a impugnare gli avvisi di accertamento. In sostanza i giudici di legittimità cassano la sentenza e dichiarano inammissibile il ricorso introduttivo della lite, con condanna dell’ex legale rappresentare al pagamento delle spese di lite.
 
Osservazioni e giurisprudenza di legittimità
La questione su cui si è pronunciata la Corte attiene alla posizione del fallito in qualità di soggetto potenzialmente leso dagli effetti degli accertamenti tributari relativi a periodi d’imposta precedenti la dichiarazione di fallimento e dunque alla propria legittimazione processuale al contenzioso tributario, distinta da quella della curatela.
 
Si premette che la dichiarazione di fallimento genera una serie di effetti giuridicamente rilevanti che caratterizzano la posizione giuridico-soggettiva del contribuente dichiarato fallito. Per quanto riguarda la legittimazione processuale di un soggetto incorso in una procedura concorsuale, l’articolo 43 della legge fallimentare stabilisce la “sostituzione processuale” del curatore per tutte le controversie relative ai rapporti di diritto patrimoniale. A norma del citato articolo 43, infatti, il fallito perde la legittimazione processuale attiva e passiva rispetto ai beni e ai diritti assoggettati a spossessamento; in sua vece, il curatore sta in giudizio per quanto attiene a tutte le controversie, anche in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale compresi nel fallimento.
 
In merito alla notifica degli atti impositivi, la Corte di cassazione con la sentenza 9434/2014 ha affermato che “resta tuttavia fermo che l’accertamento tributario, ove inerente a crediti fiscali i cui presupposti si siano determinati prima della dichiarazione di fallimento del contribuente, deve essere notificato non solo al curatore, in ragione della partecipazione di detti crediti al concorso fallimentare mediante ammissione al passivo, ma anche al contribuente, il quale non è privato, a seguito della dichiarazione di fallimento, della sua qualità di soggetto passivo del rapporto tributario e resta esposto ai riflessi della definitività dell’atto impositivo” (Cassazione, ordinanza n. 21157/2017). Tali principi vengono richiamati anche nell’ordinanza in commento.
 
La Corte, richiamando un’altra pronuncia (Cassazione 5392/2016), ribadisce che l’avviso di accertamento, concernente crediti fiscali, deve essere notificato non solo al curatore, ma anche al fallito il quale conserva la qualità di soggetto passivo del rapporto tributario, “pur essendo condizionata la sua impugnazione all’inerzia della curatela, sicché in caso contrario, la pretesa tributaria è inefficace nei suoi confronti e l’atto impositivo non diventa definitivo, tenuto conto che, peraltro, costui non è parte necessaria del giudizio di impugnazione  instaurato dal curatore.
 
Nel caso in esame viene in rilievo un altro aspetto valutato dai giudici di legittimità, ossia l’inerzia del curatore. Un limite essenziale per l’esercizio del potere in esame, attiene alla sussistenza dell’inerzia del curatore: l’attività eventualmente posta in essere da tale figura della procedura fallimentare fa venir meno una qualsiasi legittimazione, seppure eccezionale, del fallito. Nello specifico ove l’inerzia sia derivata non da una mera omissione di atti, ma da una precisa scelta discrezionale di non porre in essere attività processuali, ad esempio perché in un’ottica di analisi di costi/benefici venga ritenuto di non voler provvedere a eccepire in giudizio un determinato atto, sulla scorta magari di precise indicazioni del giudice delegato, anche in questo caso nessuna legittimazione “ultrattiva” può essere concessa al fallito (Cassazione, sentenze n. 3667/1997, 9456/1997, 9710/2004).
 
Solo in caso di inerzia degli organi fallimentari il fallito è eccezionalmente abilitato a esercitare egli stesso tale tutela alla luce dell’interpretazione sistematica del combinato disposto degli articoli 43 della legge fallimentare e 16 del Dpr 636/1972, conforme ai principi, costituzionalmente garantiti (articolo 24 della Costituzione, commi primo e secondo), del diritto alla tutela giurisdizionale e alla difesa (Cassazione n. 14987/2000, n. 3667/1997 e n. 6937/2002).
 
Nello stesso senso si è espressa inoltre la sentenza 11572/2007 della Corte suprema secondo cui “la rinuncia ad impugnare costituisce, in difetto di contrari elementi di giudizio, una forma di esercizio del potere processuale, e non una manifestazione di disinteresse nei confronti della difesa giudiziale. Perciò, tale rinuncia non è idonea a determinare la legittimazione del fallito a gestire il rapporto tributario di cui la curatela fallimentare si sia disinteressata” (vedi anche Cassazione, sentenza 6746/2007).
 
Tuttavia, perché operi, è necessario che siffatta inerzia venga anzitutto allegata e, quindi, che la stessa risulti determinata da un totale disinteresse degli organi fallimentari e non anche che consegue a una negativa valutazione della convenienza di iniziare una controversia; per cui spetta al fallito che invochi la propria legittimazione sostitutiva dimostrare che nella specie ne ricorrano le condizioni (Cassazione sentenza n. 15369/2005). Più specificamente, secondo l’indirizzo giurisprudenziale di legittimità, sebbene la dichiarazione di fallimento comporti di regola, in forza della previsione di cui all’articolo 43, legge fallimentare, la perdita della capacità del soggetto interessato da essa di stare in giudizio nella controversie relative a rapporti patrimoniali coinvolti dalla dichiarazione di fallimento, essendo trasferita la legittimazione processuale esclusivamente al curatore, tuttavia il fallito conserva, in via eccezionale, la legittimazione per la tutela dei suoi diritti patrimoniali nel caso in cui l’amministrazione fallimentare rimanga inerte (Cassazione, sentenza 24159/2013).
 
Tale situazione non è tuttavia riscontrabile ove la inerzia della curatela sia stata determinata non dal disinteresse degli organi fallimentari ma da una negativa valutazione circa la convenienza della controversia (Corte di cassazione, ordinanza n. 13814/2016 e sentenza del n. 28542/2017). In tale ottica preme evidenziare che, come chiaramente affermato più volte dalla giurisprudenza, il curatore, che è investito dell’amministrazione del patrimonio fallimentare sotto la direzione del giudice delegato, non è chiamato a curare esclusivamente l’interesse dei creditori concorrenti, ma deve tutelare nel contempo quello del fallito a non trovarsi esposto, dopo la chiusura del fallimento a pretese dei creditori che avrebbero potuto essere contestate da parte del curatore.
 
Tornando al caso di specie, al fine di verificare se il fallito era o meno legittimato ad agire personalmente, bisogna esaminare l’atteggiamento assunto dal curatore cui l’avviso di accertamento era stato notificato. Nell’ordinanza tale profilo viene sottolineato laddove si legge “è pacifico infatti che nel caso di specie non vi era stata una semplice inerzia della curatela fallimentare, quanto piuttosto vi era stata una esplicita presa di posizione negativa circa l’utilità per la massa dei creditori di promuovere la lite fiscale de qua”.

Filomena Scarano

pubblicato Venerdì 27 Aprile 2018

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