Giurisprudenza

10 Aprile 2018

Legittimo l’avviso se la verificanon turba l’attività del verificato

Giurisprudenza

Legittimo l’avviso se la verifica
non turba l’attività del verificato

Una violazione, sanzionabile a pena di nullità, si ravvisa solo nel caso di accesso nei locali dell’impresa in mancanza di effettive esigenze di indagine e controllo sul luogo

Legittimo l’avviso se la verifica|non turba l’attività del verificato

In tema di garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’articolo 12 della legge 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente) dispone che l’ufficio proceda alle operazioni di controllo “con modalità tali da arrecare la minore turbativa possibile allo svolgimento delle attività (…) nonché alle relazioni commerciali o professionali” del contribuente stesso.
Ne consegue la piena legittimità dell’avviso di accertamento emesso a seguito di verifica condotta presso l’ufficio dei verificatori, in contrasto con l’indicazione data dall’amministratore della società, il quale, ai sensi del comma 3 del citato articolo 12, aveva richiesto che l’esame della documentazione contabile e fiscale proseguisse presso lo studio del professionista delegato.
Questo il chiarimento fornito dalla Corte di cassazione con l’ordinanza n. 7613 del 28 marzo scorso.
 
La vicenda processuale e la pronuncia della Corte suprema
Il contenzioso trae origine dall’impugnazione degli avvisi di accertamento con i quali l’ufficio contestava al contribuente, una società di capitali esercente l’attività di commercio all’ingrosso di computer e software, una pluralità di violazioni commesse con riferimento agli anni d’imposta dal 2001 al 2004.
Gli atti impositivi recepivano i rilievi emersi a seguito di una verifica fiscale generale condotta dai verificatori presso i propri uffici, laddove, per contro, l’amministratore della società, come consentito dall’articolo 12, comma 3, dello Statuto dei diritti del contribuente, aveva indicato – quale luogo di svolgimento delle operazioni di controllo – la sede del professionista depositario delle scritture contabili.
 
La società ricorreva avverso i predetti atti impositivi lamentando, tra l’altro, l’inosservanza della disposizione statutaria da parte dei verbalizzanti, i quali, anziché esaudire la richiesta del contribuente, avrebbero arbitrariamente deciso di proseguire l’esame della documentazione presso i propri uffici, alternativa che, peraltro, secondo il dettato della norma, sarebbe condizionata al volere del soggetto verificato.
 
Entrambe le commissioni tributarie di merito rigettavano le doglianze del contribuente, il quale ricorreva, quindi, in sede di legittimità.
Con la pronuncia in commento la Corte suprema, uniformandosi al proprio consolidato orientamento in materia, ha ritenuto infondato il motivo di ricorso e ha confermato, sul punto, la piena legittimità dell’operato dell’ufficio.
 
Le motivazioni della sentenza
Nelle proprie argomentazioni, i giudici di legittimità prendono le mosse dalla norma contenuta nel più volte menzionato comma 3 dell’articolo 12 dello Statuto, a mente del quale “Su richiesta del contribuente, l’esame dei documenti amministrativi e contabili può essere effettuato nell’ufficio dei verificatori o presso il professionista che lo assiste o rappresenta”.
Osserva la Corte che la citata disposizione non prevede sanzioni per il caso che i verificatori abbiano proseguito la verifica presso i propri uffici in assenza di istanza in tal senso manifestata dal contribuente; né vi è spazio per ipotizzare in materia la configurabilità di una nullità virtuale, “atteso che una violazione, sanzionabile a pena di nullità, potrebbe ravvisarsi solo nel caso in cui i verbalizzanti abbiano eseguito un accesso nei locali dell’impresa in difetto” dei presupposti a tal fine richiesti dal primo comma dell’articolo 12 (esigenze effettive di indagine e controllo sul luogo), ma non anche nel caso inverso in cui la verifica sia stata condotta in luoghi diversi.
 
Invero, e più in generale, la Corte ribadisce l’interpretazione dei commi 1 e 3 dell’articolo 12 dello Statuto fornita nella precedente sentenza 28390/2013, secondo la quale tali disposizioni non sono affatto volte a garantire l’instaurazione del contraddittorio anticipato e l’esercizio dei diritti di difesa, quanto piuttosto a definire un’equilibrata composizione delle contrapposte esigenze delle parti attinenti alle concrete modalità di espletamento della verifica, da un lato garantendo la necessaria efficacia all’attività ispettiva dell’ufficio, dall’altro assicurando la tutela dei diritti riconosciuti dall’ordinamento al contribuente, sia come persona sia come soggetto economico.
 
In altri termini, la norma che consente al contribuente di indicare un diverso luogo di espletamento delle operazioni di verifica rispetto “ai locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali” va letta in relazione sistematica con il comma 1, dell’articolo 12, che impone all’ufficio di condurre le operazioni di controllo “con modalità tali da arrecare la minore turbativa possibile” alle attività e alle relazioni del contribuente.
 
Alla luce di tale ratio legis, va affermata la piena legittimazione dei verificatori “a predisporre discrezionalmente le modalità di svolgimento della propria attività secondo le esigenze che realizzino gli obiettivi delle indagini e delle ricerche, con il limite di evitare quanto più possibile di occupare o prolungare l’occupazione dei locali in cui si svolge l’attività imprenditoriale o professionale”. Corrispondentemente, va escluso che le predette disposizioni statutarie tutelino l’interesse del contribuente a lamentare violazioni delle modalità di svolgimento della verifica, nei casi in cui questa venga espletata in luogo diverso da quello della sede dell’attività economica.
Esse, in sintesi, non attribuiscono al contribuente alcun diritto a pretendere che la verifica debba continuare a essere svolta presso la sede della società.
 
Da ultimo, con riferimento alla norma che limita a trenta giorni lavorativi (prorogabili di ulteriori trenta in casi di particolare complessità) la permanenza massima degli operatori dell’amministrazione finanziaria dovuta a verifiche presso la sede del contribuente, la Corte suprema precisa che lo svolgimento delle operazioni presso l’ufficio finanziario o la Guardia di finanza fa venir meno tale limite, la cui violazione, peraltro, “non determina la sopravvenuta carenza del potere di accertamento ispettivo, né l’invalidità degli atti compiuti o l’inutilizzabilità delle prove raccolte, atteso che nessuna di tali sanzioni è stata prevista dal legislatore…” (cfr Cassazione, 2055/2017).

Mariasole Ivaldi

pubblicato Venerdì 13 Aprile 2018

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