Giurisprudenza

16 Novembre 2017

Vendita di fabbricato ristrutturato:assoggettamento a Iva condizionato

Giurisprudenza

Vendita di fabbricato ristrutturato:
assoggettamento a Iva condizionato

Per gli eurogiudici è giusta l’applicazione dell’imposta quando l’immobile subisce variazioni sostanziali, destinate a modificarne l’uso o a cambiarne le modalità di occupazione

Vendita di fabbricato ristrutturato:|assoggettamento a Iva condizionato

La domanda di pronuncia pregiudiziale, relativa alla tipologia all’esame della Corte Ue, verte sull’interpretazione degli articoli 12, paragrafi 1 e 2, e 135, paragrafo 1, lettera j), della direttiva Iva ed è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone una società all’amministrazione finanziaria polacca, in ordine all’assoggettamento a Iva di un’operazione di vendita di un fabbricato che era stato utilizzato dal proprietario a fini personali e sul quale, prima della vendita, erano stati effettuati lavori di ammodernamento.
In particolare, la società decideva di aumentare il proprio capitale sociale e, nella stessa data, un socio conferiva alla compagine un fabbricato residenziale costruito nel 1992.
Nel 2006, l’immobile veniva adattato alle finalità dell’attività economica esercitata dalla società, con il consenso di quest’ultima a un investimento pari a circa il 55% del valore iniziale del bene.
 
Trattandosi di un fabbricato usato, la società ha ritenuto che la vendita fosse esente da Iva e non ha indicato, nella sua dichiarazione Iva, il beneficio generato dalla vendita stessa.
L’amministrazione finanziaria polacca, ritenendo che la contribuente avesse errato, ha rideterminato l’Iva dovuta dalla società, aggiungendovi l’importo della vendita del fabbricato.
 
La controversia è approdata dinanzi alla competente autorità giurisdizionale che ha sottoposto al vaglio pregiudiziale della Corte Ue una questione, con cui il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli articoli 12, paragrafi 1 e 2, e 135, paragrafo 1, lettera j), della direttiva Iva, devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che subordina l’esenzione dall’imposta sul valore aggiunto delle cessioni di fabbricati alla duplice condizione che l’operazione non riguardi una cessione effettuata nel contesto di una prima occupazione verificatasi nell’esercizio di un’operazione imponibile e che, nell’ipotesi di miglioramento di un fabbricato esistente, le spese sostenute a tal fine siano inferiori al 30% del suo valore iniziale.
 
L’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva Iva definisce “cessione di beni” il trasferimento del potere di disporre di un bene materiale come proprietario.
Quanto all’articolo 135, paragrafo 1, lettera j), della direttiva, esso prevede un’esenzione dall’Iva a beneficio delle cessioni di fabbricati diverse da quelle di cui al suo articolo 12, paragrafo 1, lettera a).
L’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), si applica alla cessione di un fabbricato o di una frazione di fabbricato e del suolo pertinente, effettuata anteriormente alla prima occupazione.
Tali disposizioni, pertanto, nel loro combinato disposto, operano una distinzione tra i vecchi e i nuovi fabbricati, ove la vendita di un vecchio fabbricato, in linea di principio, non è assoggettata a Iva.
 
La ratio legis di tali disposizioni è l’assenza relativa di valore aggiunto generato dalla vendita di un vecchio fabbricato. Infatti, benché rientri nella nozione di “attività economica” ai sensi dell’articolo 9 della direttiva Iva, la vendita di un fabbricato successiva alla sua prima cessione a un consumatore finale, che segna la fine del processo di produzione, non produce un valore aggiunto significativo e deve quindi, in linea di principio, essere esente da imposta.
L’articolo 12, paragrafo 2, conferma analogamente che è il valore aggiunto a determinare l’assoggettamento della cessione di un fabbricato all’Iva, dal momento che abilita gli Stati membri a definire le modalità di applicazione del criterio indicato al paragrafo 1, lettera a), di questo stesso articolo – vale a dire quello della “prima occupazione” – alle trasformazioni di beni immobili.
In tal modo, la direttiva Iva apre la strada alla tassazione di cessioni di fabbricati che sono stati oggetto di una trasformazione, in quanto quest’ultima operazione conferisce al fabbricato un valore aggiunto, al pari della sua costruzione iniziale.
 
Il fabbricato in argomento è stato ammodernato dopo essere stato integrato nel patrimonio della società, sollevando pertanto la possibilità del suo assoggettamento a Iva, in quanto tali lavori hanno generato un valore aggiunto.
 
Il legislatore nazionale, associando la nozione di “prima occupazione” all’esercizio di un’operazione imponibile, da una parte ha escluso da tale esenzione le occupazioni che non generano operazioni imponibili, con la conseguenza che l’esenzione prevista dall’articolo 135, paragrafo 1, lettera j), della direttiva Iva non è applicabile al trasferimento di un fabbricato esistente che è stato oggetto di uso da parte del suo proprietario per le proprie esigenze commerciali, argomentando che tale uso non può essere qualificato come “prima occupazione” in assenza di una operazione imponibile. Dall’altra parte, avendo esteso il criterio della “prima occupazione” alle trasformazioni di immobili, per assoggettare a Iva la vendita dell’immobile trasformato, ha fissato un criterio quantitativo secondo il quale i costi di una siffatta trasformazione devono essere pari a una determinata percentuale del valore iniziale del fabbricato in oggetto, vale a dire, nella specie, devono essere inferiori al 30% di tale valore.
 
Come risulta dai lavori preparatori della sesta direttiva 77/388/Cee, il criterio della “prima occupazione” di un fabbricato va inteso come corrispondente a quello del primo uso del bene da parte del suo proprietario o del suo locatario. In tali lavori preparatori si precisa che questo criterio è stato considerato determinante nel momento in cui il prodotto può uscire dalla catena di produzione per entrare nel settore del consumo.
Tuttavia, da questa analisi storica non risulta che l’uso del bene da parte del suo proprietario debba aver luogo nel contesto di un’operazione imponibile.
Inoltre, il sistema comune dell’Iva dovrebbe realizzare, ancorché le aliquote e le esenzioni non siano completamente armonizzate, una neutralità dell’imposta ai fini della concorrenza, nel senso che, nel territorio di ogni Stato membro, sui beni e sui servizi di uno stesso tipo gravi lo stesso carico fiscale, a prescindere dalla lunghezza del circuito di produzione e di distribuzione.
Ne consegue che il principio della neutralità fiscale, che costituisce la traduzione, da parte del legislatore comunitario, in materia di Iva, del principio generale della parità di trattamento osta a che il sistema delle esenzioni fiscali, sia applicabile diversamente da uno Stato membro all’altro.
 
Da un’analisi letterale dell’articolo 12 e dell’articolo 135, paragrafo 1, lettera j), della direttiva Iva, risulta che essa non conferisce agli Stati membri la facoltà di condizionare o di limitare le esenzioni ivi previste.
Da ciò deriva che gli Stati membri non sono autorizzati a subordinare l’esenzione dall’Iva in materia di cessioni di fabbricati effettuate successivamente alla loro prima occupazione alla condizione, non prevista dalla direttiva, che detta prima occupazione si sia verificata nel contesto di un’operazione imponibile.
 
Per quanto riguarda, inoltre, la possibilità, per gli Stati membri, di definire le modalità di applicazione del criterio della “prima occupazione” alle trasformazioni di immobili, l’imposizione di un criterio quantitativo, secondo il quale i costi di una tale trasformazione devono essere pari a una determinata percentuale del valore iniziale del fabbricato in oggetto, vale a dire, nella specie, almeno il 30% di tale valore, costituisce un’attuazione di tale possibilità.
Nella fattispecie all’esame della Corte Ue, risulta che il fabbricato è un bene immobile il cui costo di ristrutturazione ha ecceduto il 30% del suo valore iniziale.
Con riferimento alla nozione di “trasformazione”, la stessa è da intendersi nel senso che il fabbricato deve aver subito modifiche sostanziali intese a modificarne l’uso o a cambiare in misura considerevole le sue condizioni di occupazione.
 
L’interpretazione della nozione di “trasformazione” è corroborata dalla giurisprudenza della Corte secondo la quale è esentata dall’Iva un’operazione di cessione di un bene immobile composto da un terreno e da un vecchio fabbricato in corso di trasformazione quando, al momento di detta cessione, il vecchio fabbricato era stato demolito solo in parte ed era, almeno parzialmente, ancora utilizzato in quanto tale.
Pertanto, la nozione di “trasformazione” copre l’ipotesi nella quale siano stati effettuati lavori completi o a uno stadio sufficientemente avanzato, in esito ai quali il fabbricato in oggetto sarà destinato a essere utilizzato ad altri fini.
 
Nel caso di specie, la nozione di “trasformazione” di cui all’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva Iva, è stata trasposta nella disciplina polacca sull’Iva, facendo ricorso a quella di “miglioramento”.
Tuttavia, purché quest’ultimo termine sia interpretato dai giudici nazionali come sinonimo di quello di “trasformazione”, la differenza terminologica così rilevata non è tale, di per sé, da comportare un’incompatibilità della legge polacca con la direttiva comunitaria.
 
Tutto ciò premesso, la Corte Ue perviene alla conclusione che gli articoli 12, paragrafi 1 e 2, e 135, paragrafo 1, lettera j), della direttiva Iva devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che subordina l’esenzione dall’Iva con riguardo alle cessioni di fabbricati alla condizione che la loro prima occupazione si sia verificata nel contesto di un’operazione imponibile. Queste stesse disposizioni vanno invece interpretate nel senso che non ostano a che una tale normativa nazionale subordini tale esenzione alla condizione che, nell’ipotesi di “miglioramento” di un fabbricato esistente, le spese sostenute non siano state superiori al 30% del suo valore iniziale, a condizione che detta nozione di “miglioramento” sia interpretata nello stesso modo di quella di “trasformazione” di cui all’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva, vale a dire nel senso che il fabbricato in oggetto deve aver subito modifiche sostanziali destinate a modificarne l’uso o a cambiarne considerevolmente le condizioni di occupazione.
 
Fonte:
Data della sentenza
16 novembre 2017
  
Numero della causa
C-308/2016
 
Nome delle parti
Kozuba Premium Selection sp. z o. o
contro
Dyrektor Izby Skarbowej w Warszawie

Marcello Maiorino

pubblicato Giovedì 16 Novembre 2017

Vendita di fabbricato ristrutturato:assoggettamento a Iva condizionato

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