Emiliano Marvulli
18 Maggio 2018
Caro Fisco ti illudo e poi ti eludo.Un bel “trust autodichiarato” e via
Giurisprudenza
Caro Fisco ti illudo e poi ti eludo.
Un bel “trust autodichiarato” e via
Vi trasferisce gli immobili di proprietà risultando egli stesso beneficiario insieme alla moglie: condannato alla pena di un anno di reclusione ai sensi dell’articolo 11, Dlgs 74/2000
La realizzazione di un trust “autodichiarato”, costituito dal debitore subito dopo la notifica di cartelle esattoriali, integra il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte perché rappresenta uno schermo formale creato per separare il patrimonio personale da quello segregato nel trust, con il preciso scopo di eludere il pagamento del debito fiscale.
In questo caso, la costituzione di uno sham trust integra comunque il reato, sia quando l’atto è considerato nullo sia quando è considerato simulato secondo il codice civile.
Questo il principio affermato dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 20862 dell’11 maggio 2018.
Il fatto
La controversia trae origine dal ricorso presentato dall’imputato avverso la sentenza della Corte di appello che lo aveva condannato alla pena di un anno di reclusione per il reato di cui all’articolo11 del Dlgs 74/2000.
Secondo i giudici, l’imputato si era sottratto fraudolentemente al pagamento delle imposte sui redditi e dell’Iva trasferendo, in qualità di settlor, gli immobili di proprietà a favore di un trust, di cui risultava egli stesso beneficiario insieme alla moglie.
A parere dell’imputato, trattandosi di uno sham trust, caratterizzato sia dalla mancanza dell’effettivo trasferimento a terzi dei beni sia dalla coincidenza tra settlor e trustee, esso avrebbe dovuto essere dichiarato nullo dal tribunale.
Da tale nullità sarebbe dovuta derivare, poi, l’assoluzione dell’imputato perché il fatto non sussiste, “non essendo un trust nullo idoneo a rendere in tutto in parte inefficace le procedure di riscossione coattiva e, quindi, a integrare la fattispecie di pericolo concreto ex art. 11 del D.Lgs. 74/2000”.
I giudici di merito, di primo e secondo grado, hanno invece ritenuto l’atto simulato (e non nullo), in quanto il trust era stato costituito al solo fine di sottrarsi al pagamento del debito erariale e con una struttura giuridica particolare, caratterizzata dalla coincidenza tra settlor, trustee e beneficiario.
Da parte sua l’imputato non ha contestato la ricostruzione dell’istituto fatta dai giudici di merito, ma ha chiesto che l’atto fosse dichiarato nullo e non produttivo di effetti nei confronti dell’Agenzia delle entrate.
La Corte di cassazione ha ritenuto infondata la tesi difensiva, sia in punto di fatto che di diritto, e ha condiviso la decisione della Corte d’appello.
Il giudizio della Corte
Nella sentenza impugnata, la Corte d’appello ha disposto il principio per cui un trust “autodichiarato” non può essere considerato nullo ex lege “per la sola coincidenza tra disponente e trust”.
La struttura “autodichiarativa” del trust, sebbene possa far sorgere forti sospetti sulla fittizietà della struttura stessa per la mancanza di un reale “spossessamento” dei beni segregati da parte del disponente, non conduce ad affermare con certezza che ogni trust autodichiarato è automaticamente “inesistente o nullo”, considerato tra l’altro che alcune leggi straniere (tra cui quella del Jersey) ne ammettono la legittimità.
Peraltro, come correttamente affermato dalla Corte d’appello, nel nostro ordinamento è assente una norma che vieta, anche solo indirettamente, la possibilità di dar vita a un trust autodichiarato, da cui possa derivare la nullità dell’atto.
Nel caso di specie, il trust è stato qualificato come simulato non solo per la mera coincidenza tra settlor e trustee, che ben potrebbe realizzarsi, ma a seguito dell’analisi di una serie di elementi ulteriori dell’atto istitutivo che hanno fatto dubitare dell’effettiva perdita di controllo dei beni dopo la creazione del trust, anche in ragione dei poteri in concreto che il “disponente si riserva ed attribuisce al trustee, sia che queste figure si identifichino sia che si tratti di soggetti diversi”.
Alla luce delle summenzionate osservazioni emerge che il punto focale della controversia verte sulla presunta nullità dello sham trust che, in quanto tale, sarebbe escluso dall’ambito applicativo dell’articolo 11 del Dlgs 74/2000, pur se costituito allo scopo di sottrarsi al pagamento delle imposte.
La sanzione ivi prevista è diretta nei confronti di colui il quale, nei limiti oggettivi stabiliti dalla norma, “aliena simulatamente” o compie “altri atti fraudolenti sui propri o su beni altrui” idonei a rendere inefficaci le misure di riscossione coattiva in quanto, pur rimanendo nel possesso dei beni, crea una situazione di apparenza diversa.
La disposizione, pertanto, contempla due diverse fattispecie.
La prima è l’alienazione simulata, da intendersi quella condotta finalizzata a creare “una situazione giuridica apparente diversa da quella reale”, compresi i casi di interposizione fittizia di persona.
La seconda è l’atto fraudolento, ossia quello “idoneo a rappresentare ai terzi una realtà (la riduzione del patrimonio del debitore) non corrispondente al vero, mettendo a repentaglio o comunque rendendo più difficoltosa l’azione di recupero del bene in tal modo sottratto alle ragioni dell’Erario”.
I giudici di legittimità, in linea con un orientamento costante della giurisprudenza, ritengono il delitto ex articolo 11 come un “reato di pericolo concreto”, nel senso che deve essere valutata ex ante l’idoneità dell’atto a mettere a rischio, per intero o parzialmente, la garanzia patrimoniale del debito vantato dall’Erario.
Tale principio vale anche in ipotesi di atto nullo, nel caso in cui esso sia comunque in grado di concretizzare la condotta penalmente rilevante, perché la norma è posta a presidio dell’interesse pubblico ed evitare che il contribuente si sottragga al suo dovere costituzionale di contribuire alla spesa pubblica.
Il trust oggetto della controversia, indipendentemente dall’asserita nullità perché sham trust, costituisce comunque uno schermo formale creato dall’imputato, “un diaframma, tra il patrimonio personale e proprietà costituita in trust, nel quale è confluito il suo patrimonio immobiliare; e ciò ha fatto, in maniera del tutto incontestata, per la finalità elusiva delle ragioni creditorie erariali”.
pubblicato Martedì 29 Maggio 2018
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