Giurisprudenza

18 Maggio 2020

Il Fisco cambia atteggiamento ma l’imposta dovuta va pagata

La tutela del legittimo affidamento di cui all’articolo 10 dello Statuto del contribuente comporta soltanto l’esclusione degli aspetti sanzionatori, risarcitori e accessori conseguenti all’inadempimento dell’obbligazione tributaria, ma non incide sulla debenza del tributo, che prescinde dalle intenzioni manifestate dalle parti del rapporto fiscale e dipende esclusivamente dall’oggettiva realizzazione dei presupposti impositivi.
Questo il principio ribadito dalla Cassazione, con l’ordinanza n. 7661 del 2 aprile 2020, ove è stato altresì ricordato che, in coerenza con detta regola, anche nell’ipotesi in cui l’interessato si sia conformato a un’interpretazione erronea fornita dall’Amministrazione finanziaria, non si realizza alcun esonero dall’adempimento dell’obbligazione tributaria.

La vicenda processuale
Un contribuente, in sede di dichiarazione per l’anno 1995, chiedeva il rimborso del credito d’imposta Irpeg, in applicazione di un’agevolazione che aveva previsto la riduzione alla metà del medesimo tributo.
L’ufficio, non ritenendo applicabile l’agevolazione, notificava avviso di accertamento per maggiore imposta Irpeg con relative sanzioni.
Il contenzioso scaturito dall’impugnazione dell’atto vedeva la parte privata vittoriosa innanzi alle Commissioni di merito; quest’ultima, poi, in seguito all’emanazione della legge n. 289/2002, decideva di definire la lite fiscale pendente con il pagamento integrale delle somme dovute.
Quindi, ritenendo che per effetto di tale definizione si fosse consolidato il credito esposto nella dichiarazione del 1995, presentava un’istanza di rimborso che l’ufficio riscontrava con una nota in cui dichiarava che avrebbe provveduto al rimborso quando la Corte di cassazione avesse dichiarato l’estinzione del giudizio pendente a seguito della presentazione della domanda per la definizione della lite.
Tuttavia, intervenuta la declaratoria di estinzione da parte del supremo Collegio, e nonostante reiterate richieste di pagamento da parte del contribuente, il 22 febbraio 2012 l’ufficio notificava il diniego di rimborso del credito esposto in dichiarazione.
La Commissione tributaria provinciale di Perugia, adita dall’interessato, respingeva il ricorso e il verdetto veniva confermato dal giudice di seconde cure (sentenza n. 110/03/2014, del 21 febbraio 2014) che, per quanto d’interesse in questa sede, non accoglieva la doglianza della parte che aveva prospettato violazione del legittimo affidamento, ai sensi dell’articolo 10 dello Statuto dei diritti del contribuente, osservando piuttosto che la nota dell’ufficio aveva ingenerato una mera aspettativa, insuscettibile di tutela giudiziaria.
Ricorrendo in sede di legittimità, il contribuente riproponeva, tra le altre, la censura di violazione della richiamata norma dello “Statuto”.

La pronuncia della Corte
La Corte ha disatteso il riferito motivo di doglianza ricordando che, in tema di legittimo affidamento del contribuente di fronte all’azione dell’Amministrazione finanziaria, si è consolidato un orientamento che ne ha delimitato l’ambito applicativo precisando che detto affidamento comporta “l’esclusione degli aspetti sanzionatori, risarcitori ed accessori conseguenti all’inadempimento colpevole dell’obbligazione tributaria, ma non incide sulla debenza del tributo, che prescinde del tutto dalle intenzioni manifestate dalle parti del rapporto fiscale, dipendendo esclusivamente dall’obiettiva realizzazione dei presupposti impositivi”.
Con l’occasione, i togati di piazza Cavour hanno altresì ribadito che, in linea con il riportato approccio interpretativo, anche le circolari in materia tributaria “non costituiscono fonte di diritti ed obblighi, sicché, ove il contribuente si sia conformato ad un’interpretazione erronea fornita dall’Amministrazione finanziaria, è esclusa soltanto l’irrogazione delle relative sanzioni e degli interessi, senza alcun esonero dall’adempimento dell’obbligazione tributaria, in base al principio di tutela dell’affidamento”.

Osservazioni
L’articolo 10 della legge n. 212 del 2000, dopo aver previsto al comma 1 che i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria “sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede”, nel successivo comma stabilisce che non sono irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente, qualora, tra l’altro, egli “si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria, ancorché successivamente modificate dall’amministrazione medesima…”.
La tutela del legittimo affidamento – considerata espressione dei principi di uguaglianza, di legalità in materia di prestazioni patrimoniali imposte, di capacità contributiva, di legalità, buon andamento e imparzialità dell’agire amministrativo, di cui agli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione (cfr Cassazione, n. 6708/2020; 19331/2019; 14962/2018) – nell’interpretazione tradizionale di nomofilachìa (Cassazione, n. 17576/2002) è stata ritenuta riferibile alle situazioni caratterizzate: da un’apparente legittimità e coerenza dell’attività dell’Amministrazione finanziaria, in senso favorevole al contribuente; dalla buona fede di questi, rilevabile da una condotta connotata dall’assenza di qualsiasi violazione del dovere di correttezza; dall’eventuale esistenza di circostanze specifiche e rilevanti, idonee a indicare la sussistenza dei primi due presupposti. 

Successivamente, si è andato delineando un orientamento che, pur senza rinnegare i criteri enunciati dalla riferita pronuncia n. 17576/2002, ha affermato con convinzione che la tutela del legittimo affidamento in ambito tributario, seppure idonea a escludere l’applicazione a carico del contribuente incolpevole di sanzioni, interessi ed accessori, non incide sulla debenza del tributo, configurando quest’ultimo un’obbligazione che, insensibile all’atteggiamento soggettivo delle parti del rapporto fiscale, dipende piuttosto dalla realizzazione dei presupposti impositivi (cfr Cassazione, nn. 26931, 19803, 15644, 11625/2019). 
La pronuncia in rassegna conferma dunque una regula iuris decisamente consolidata presso il Collegio di legittimità. 

Oltre a quanto segnalato, in argomento appare altresì meritevole di rilievo l’ermeneutica per la quale “il principio del legittimo affidamento del contribuente ha per oggetto soltanto il rapporto giuridico tributario sostanziale, che lega Amministrazione finanziaria e contribuente, non anche quello processuale”, e pertanto la tutela di detto “affidamento” rimane assoggettata al rispetto delle regole generali del processo, “sicché il contribuente che intende contestare una pretesa ritenuta illegittima, anche per violazione dello stesso, ha l’onere di proporre tempestivamente ricorso avverso il relativo atto impositivo” (Cassazione, n. 6708/2020)
Infine, e per completezza, va poi ricordato che, in coerenza con il riferito quadro giurisprudenziale, la possibilità di una tutela del contribuente di fronte al mutamento di indirizzo interpretativo adottato in documenti di prassi è stata esclusa, anche sotto il profilo dell’affidamento, “stante la evidente collisione che si determinerebbe con il principio… di inderogabilità delle norme tributarie, di indisponibilità dell’obbligazione tributaria, di vincolatezza della funzione di imposizione, di irrinunciabilità del diritto di imposta” (a partire da Cassazione, SS.UU., n. 23031/2007, da ultimo, Cassazione, nn. 5185/2020; 33592, 29176, 26355/2019).

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