9 Aprile 2020
Sanzioni definite in misura ridotta non c’è spazio per la restituzione
Il ricorso alla definizione agevolata comporta l’effetto di chiudere, definitivamente, in termini e secondo modalità e parametri oggettivi prefissati dalla stessa legge, il rapporto tra contribuente e Fisco in ordine alle conseguenze sanzionatorie delle violazioni rilevate, con il duplice vantaggio per il Fisco di trarre una pronta e incontestata riscossione di una somma commisurata alla pena e per il contribuente il vantaggio dell’abbandono di ogni altra pretesa sanzionatoria dell’Amministrazione.
In seguito alla notifica di un avviso di accertamento una società definiva le sanzioni in misura ridotta (1/4) e presentava istanza di accertamento con adesione il cui procedimento si concludeva positivamente con un abbattimento dell’iniziale pretesa impositiva. La società richiedeva allora il rimborso delle sanzioni pagate in precedenza.
Il contenzioso conseguente al rifiuto dell’ufficio si concludeva in primo grado con la conferma della tesi erariale, ma con l’accoglimento dell’appello della società. L’Agenzia ricorreva per cassazione lamentando l’irripetibilità delle somme versate per la definizione agevolata delle sanzioni. I giudici di legittimità, con l’ordinanza n. 5166 depositata il 26 febbraio 2020, hanno accolto il ricorso.
La vicenda processuale
A seguito della notifica di un avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 2005, una società contribuente aveva tempestivamente provveduto, a titolo di definizione agevolata ex articolo 17, comma 2, del Dlgs n. 472/1997, al pagamento delle sanzioni nella misura ridotta di 1/4 rispetto a quanto irrogato.
Una volta definite le sanzioni la società aveva presentato istanza di accertamento con adesione per la definizione della pretesa dell’Amministrazione finanziaria; il procedimento di adesione così instaurato si concludeva con la riduzione delle maggiori imposte accertate a carico della società. Ottenuta la rideterminazione del quantum dovuto, la società provvedeva a fare richiesta di rimborso del maggior importo versato a titolo di sanzioni rispetto al calcolo eseguito sulle imposte rideterminate nell’ambito della procedura di adesione. All’istanza di rimborso faceva seguito il silenzio-rifiuto dell’Amministrazione avverso il quale la società ricorreva dinanzi alla Commissione tributaria provinciale. Il giudizio di primo grado si concludeva con il rigetto del ricorso.
La decisione dei giudici di prime cure veniva impugnata dinanzi alla Commissione tributaria regionale, che accoglieva l’appello. L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza di secondo grado eccependo in particolare violazione e falsa applicazione dell’articolo 17 del Dlgs n. 472/1997, in relazione all’articolo 360 cpc, comma 1, n. 3, per aver erroneamente riconosciuto il diritto al rimborso di parte delle somme versate a titolo di definizione agevolata delle sanzioni, a seguito del perfezionamento dell’accertamento con adesione.
La decisione della Corte
Il motivo di ricorso sollevato dall’Agenzia è fondato e trova accoglimento.
In materia di violazioni di norme tributarie, secondo l’orientamento a più riprese ribadito dalle pronunce dei giudici di legittimità, l’atto di contestazione ed irrogazione delle sanzioni rappresenta un atto autonomo rispetto al procedimento di accertamento del tributo, cui le sanzioni ineriscono. Da ciò consegue che laddove il contribuente abbia optato, ai sensi del Dlgs n. 472 del 18 dicembre 1997, articolo 17, comma 2, per la definizione agevolata delle sanzioni, deve escludersi la possibilità di chiedere il rimborso delle somme pagate bonariamente, e ciò a prescindere dall’esito del procedimento di adesione avente ad oggetto l’avviso di accertamento relativo alle imposte; anche qualora dall’adesione scaturisse una riduzione delle maggiori imposte dovute dal contribuente, occorrerà ritenere definitivamente chiuso a quel momento il rapporto tra contribuente e Fisco in ordine alle altre conseguenze sanzionatorie delle violazioni già rilevate (cfr Cassazione nn. 18740/2015, 25747/2013).
Il pagamento degli importi dovuti a titolo di sanzioni, effettuato ex articolo 17, comma 2, “definisce irrevocabilmente ogni questione inerente l’aspetto sanzionatorio del rapporto tributario in contestazione, precludendo all’Amministrazione finanziaria di irrogare maggiori sanzioni ed al contribuente di ripetere quanto già pagato” (Cassazione n. 25577/2017).
In definitiva, secondo la Corte, qualora il trasgressore scelga di addivenire alla definizione agevolata, prevista dall’articolo 17 summenzionato, la ripetizione delle somme pagate non è consentita; la definizione agevolata, difatti, comporta l’effetto di chiudere, definitivamente, in termini e secondo modalità e parametri oggettivi prefissati dalla stessa legge, il rapporto tra contribuente e fisco in ordine alle conseguenze sanzionatorie delle violazioni rilevate, definizione da cui il fisco trae il vantaggio della pronta e incontestata riscossione di una somma oggettivamente commisurata in rapporto alla pena edittale, ed il contribuente quello dell’abbandono di ogni altra pretesa sanzionatoria da parte dell’Amministrazione (Cassazione n. 26740/2013). Sicché si deve ritenere che il pagamento di un quarto delle sanzioni determini una sorta di scissione del rapporto: da un lato, il profilo sanzionatorio, che rimane definito irrevocabilmente mediante l’esecuzione del predetto pagamento, che preclude tanto all’ufficio, quanto al contribuente, di porre in discussione la sanzione e, quindi, non può dar luogo in nessun caso alla ripetizione; dall’altro, il profilo (meramente) tributario, che può essere contestato dal contribuente, nonostante l’avvenuto pagamento in misura ridotta e che ha una vicenda affatto autonoma rispetto alla sanzione.
Nel caso di specie, ad avviso dei giudici della Corte di cassazione, dunque, la Commissione tributaria regionale non aveva tenuto conto dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, senza peraltro offrire una motivazione adeguata a spiegare le diverse conclusioni cui è pervenuta. La sentenza è stata pertanto cassata e, non essendovi necessità di ulteriori accertamenti in fatto, il giudizio è stato deciso anche nel merito ex articolo 384 cpc, comma 2, con il rigetto del ricorso introduttivo della società.
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