Analisi e commenti

15 Novembre 2022

Nuovo processo tributario – 3 onere della prova senza scosse

Il nuovo comma 5-bis, aggiunto all’articolo 7 del Dlgs n. 546/1992 a opera dell’articolo 6 della legge n. 130/2022 di riforma del processo tributario, non modifica, nella sostanza, i consolidati principi sul riparto dell’onere probatorio tra Amministrazione finanziaria e contribuente.
È questo l’importantissimo chiarimento fornito dalla Corte suprema con l’ordinanza n. 31878 del 27 ottobre scorso, che smentisce un orientamento, prevalente sulla stampa specializzata, secondo cui la riforma porrebbe un più gravoso onere probatorio in capo all’ufficio e che l’assolvimento di tale onere dovesse avvenire già nella motivazione dell’atto (vedi articolo “Nuovo processo tributario – 1, analisi dei primi dubbi applicativi”, al quale si rinvia per un inquadramento sistematico della novella legislativa).
Il chiarimento dei giudici di legittimità è tanto più rilevante se si considera che il caso concreto da cui ha preso spunto riguarda l’efficacia probatoria di una presunzione semplice, fondata su circostanze gravi, precise e concordanti desumibili dal quadro indiziario ricostruito dai verificatori, che è stato ritenuto idoneo a dimostrare la consapevolezza, da parte della società contribuente, della falsità soggettiva delle fatture dalla medesima emesse nei confronti di una ditta individuale, apparente cessionaria di gasolio per uso agricolo.

Prima di entrare nel merito di quanto affermato dai giudici nella richiamata ordinanza n. 31878, si ritiene utile riprendere brevemente i termini del dibattito innescato dall’aggiunta del succitato comma 5-bis all’articolo 7 del Dlgs n. 546/1992.
Si ritiene utile rammentare, innanzitutto, che la suddetta aggiunta è stata operata dal legislatore della riforma a chiusura della disciplina dell’istruttoria processual-tributaria, che è stata potenziata anche mediante la previsione della prova testimoniale. Si riporta il testo del succitato comma 5-bis: “L’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni. Spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati”.
In base al tenore letterale della disposizione, molti hanno ritenuto che l’assolvimento dell’onere probatorio implichi un ulteriore grado di dettaglio e di specificità delle allegazioni a carico dell’ufficio e che tale onere debba essere assolto già nella fase motivazionale, senza distinguere tra elementi indiziari, raccolti nell’istruttoria del procedimento amministrativo-tributario, e la formazione della prova, che deve avvenire necessariamente nel dibattimento tra le parti e alla presenza del giudice.

Con riferimento ai rapporti tra obbligo motivazionale e onere probatorio, nel nostro primo intervento su richiamato abbiamo chiarito le differenze giuridico-funzionali tra l’obbligo di fornire contezza dell’iter logico seguito dall’ufficio per giungere alla determinazione della pretesa erariale e l’onere di dimostrare in giudizio la sussistenza dei fatti costitutivi della pretesa medesima. Con riferimento alla dimostrazione dei fatti posti a fondamento della pretesa erariale, nel nostro precedente intervento avevamo sottolineato come l’introduzione del comma 5-bis non deroga al microsistema di presunzioni semplici, fondate su circostanze gravi, precise e concordanti, previste dalle norme sull’accertamento dei tributi, nonché, non deroga al principio di non contestazione (articolo 115 cpc), ai principi di prudente apprezzamento della prova e del libero convincimento del giudice (art. 116 cpc) e neppure al principio di matrice giurisprudenziale della vicinanza della prova che deroga agli ordinari criteri di riparto dell’onere probatorio di cui all’articolo 2697 del codice civile.
Orbene, la recente pronuncia della Cassazione ha evidenziato la valenza sistematica del comma 5-bis in commento, chiarendo che con tale disposizione il legislatore non ha voluto derogare a tutti i principi già applicati e sopra succintamente richiamati, ma ha semplicemente voluto potenziare l’istruttoria processual-tributaria, con una norma sostanzialmente ricognitiva di detti principi, ma che comunque contribuisce a fornire una disciplina più compiuta alla fase istruttoria nel processo tributario.

Riguardo al caso esaminato dalla Cassazione nella pronuncia in commento, come anticipato, la questione ha avuto a oggetto l’idoneità del quadro indiziario ricostruito dall’ufficio a provare la consapevolezza della società verificata di essere parte di una frode in materia di Iva, perpetrata mediante l’utilizzo di fatture soggettivamente false che documentavano la cessione di gasolio per uso agricolo. Tanto, anche alla luce dell’archiviazione in sede penale del procedimento a carico del legale rappresentante della medesima società. In particolare, i giudici di legittimità hanno censurato l’iter argomentativo seguito dal giudice di appello, secondo il quale i comportamenti posti in essere dalla società verificata nei confronti della sua controparte commerciale sarebbero stati inconciliabili con una condotta fraudolenta. L’ufficio, da parte sua, censurava il fatto che il giudice di appello aveva violato i principi sul riparto dell’onere della prova non avendo valorizzato le prove presuntive allegate dall’Agenzia, mentre aveva valorizzato mere affermazioni della contribuente, trascurando, viceversa, il quadro indiziario ricostruito dai verificatori. In particolare, l’ufficio rimarcava che l’onere della prova dell’Amministrazione può esaurirsi nella dimostrazione che il soggetto interposto è privo delle dotazioni necessarie all’esecuzione della prestazione, mentre il contribuente deve provare che non sapeva, o non avrebbe potuto sapere, con l’ordinaria diligenza, dell’evasione o della frode posta in essere dal proprio partner commerciale. In sostanza l’ufficio faceva rilevare che dal quadro indiziario ricostruito emergeva con chiarezza che la contribuente non aveva operato con la diligenza richiesta a un operatore economico avveduto, mentre il giudice di appello aveva ritenuto che il compimento da parte della contribuente di determinati adempimenti fosse sufficiente a comprovare l’utilizzo di un’adeguata diligenza.

Invero, la verifica fiscale riguardava cessioni di gasolio per uso agricolo da parte della ricorrente e formalmente destinate a una ditta la quale, dai controlli effettuati, non possedeva le strutture per lo stoccaggio delle quantità di prodotto acquistate, né automezzi idonei al loro trasporto, né, infine, la capacità patrimoniale e finanziaria per effettuare gli acquisti documentati nei suoi confronti. Inoltre, la ditta apparentemente cessionaria non deteneva alcun conto corrente e, quindi, i pagamenti venivano effettuati per contanti o da conti personali del titolare apparente della stessa.
La Ctr, senza esaminare il complesso quadro indiziario posto a base dell’accertamento, aveva affermato che il comportamento della contribuente fosse assolutamente inconciliabile con la volontà di porre in essere operazioni fraudolente, ma non aveva spiegato come facesse a giungere a tale conclusione.
In particolare, la contribuente aveva sostenuto di aver effettuato il controllo sulla licenza della ditta cessionaria e sui libretti di circolazione dei veicoli, effettuando comunicazione scritta con l’indicazione dei trasportatori e autisti, nonché quotidiane comunicazioni all’Agenzia delle dogane e tempestive risposte ai questionari.
Pertanto, il giudice d’appello, semplicemente richiamando tali adempimenti, aveva affermato che la società fornitrice avesse dimostrato “la propria buona fede e la propria scusabile ignoranza sulla effettiva destinazione del gasolio”, senza, tuttavia, chiarire come le verifiche effettuate dalla società, di carattere meramente formale, consentissero di superare la prova presuntiva dell’Amministrazione. Anche la circostanza che nel giudizio penale non fossero emersi collegamenti tra il legale rappresentante della contribuente e i soggetti coinvolti nella gestione della ditta cessionaria, a parere degli ermellini, “non può essere dirimente per escludere il coinvolgimento della contribuente nella frode fiscale”.

In sostanza, secondo i giudici di legittimità, “a fronte del complesso quadro indiziario fornito dall’Ufficio, la società contribuente aveva l’onere di dimostrare la propria buona fede, cioè che, nella specifica situazione accertata nella fase delle indagini, i comportamenti posti in essere integrassero l’ordinaria diligenza richiesta a un operatore commerciale accorto”.
Ma ciò che preme sottolineare in questa sede è la chiosa finale dei giudici di cassazione, secondo cui: “è appena il caso di sottolineare che il comma 5 bis dell’art.7 d.lgs. n.546/1992, introdotto con l’articolo 6 della legge n. 130/2022, ha ribadito, in maniera circostanziata, l’onere probatorio gravante in giudizio sull’amministrazione finanziaria in ordine alle violazioni contestate al contribuente, per le quali, come nel caso di specie, non vi siano presunzioni legali che comportino l’inversione dell’onere probatorio. Pertanto, la nuova formulazione legislativa, nel prevedere che «L’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni» non stabilisce un onere probatorio diverso o più gravoso rispetto ai principi già vigenti in materia, ma è coerente con le ulteriori modifiche legislative in tema di prova, che assegnano all’istruttoria dibattimentale un ruolo centrale”.

continua
La prima puntata è stata pubblicata venerdì 23 settembre
La seconda puntata è stata pubblicata venerdì 4 ottobre

Nuovo processo tributario – 3 onere della prova senza scosse

Ultimi articoli

Normativa e prassi 28 Marzo 2024

Esenti da Iva i corsi per avvocati della scuola privata riconosciuta

I corsi di formazione, obbligatori per l’abilitazione all’esercizio della professione legale, forniti da una società privata riconosciuta come “scuola forense”, sono esenti da Iva: rientrano infatti nell’ipotesi prevista dall’articolo 10, primo comma, n.

Normativa e prassi 28 Marzo 2024

Immobili ceduti con atto estero, l’imposta di registro è proporzionale

Gli atti formati all’estero, che comportano il trasferimento di proprietà di due beni immobili situati in Italia, sono soggetti all’imposta di registro proporzionale nella misura del 9% (articolo 1 della Tariffa, parte prima, del Tur).

Attualità 28 Marzo 2024

Bonus pubblicità 2024 al traguardo: comunicazioni entro martedì 2 aprile

L’intervallo temporale, per presentare la comunicazione relativa all’accesso al credito d’imposta sugli investimenti pubblicitari incrementali, effettuati o da effettuare nel 2024, sta per scadere.

Attualità 28 Marzo 2024

Modelli dichiarativi Iva: online in inglese, sloveno e tedesco

Nuove traduzioni, questa volta, in casa Iva, la più internazionale delle imposte.

torna all'inizio del contenuto