Analisi e commenti

7 Marzo 2022

Basta la lettera d’incarico per accesso in locali non promiscui

In caso di verifica fiscale, se i locali aziendali in cui avviene l’accesso e quelli privati del contribuente sono collegati solo esternamente senza che vi sia una agevole possibilità di comunicazione interna, ai fini della legittimità delle operazioni di controllo è sufficiente la sola lettera d’incarico del capo dell’ufficio che ha disposto la verifica. In tal caso, non ravvisandosi promiscuità tra i locali utilizzati per le esigenze connesse all’attività svolta e quelli per fini abitativi i verificatori dell’Amministrazione finanziaria non hanno necessità di ottenere l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica. Questo il principio affermato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 1698 del 20 gennaio 2022.

La sentenza
La vicenda processuale giunta sino in Cassazione ha origine dal ricorso proposto da una società avverso un avviso di accertamento per Iva e imposte dirette scaturito dalle risultanze di una verifica fiscale condotta dai verificatori dell’Agenzia delle entrate.
Il ricorso era stato accolto dalla Commissione tributaria provinciale e in sede di appello i giudici avevano confermato la sentenza, avverso cui ha proposto ricorso per Cassazione l’Agenzia delle entrate. Secondo i giudici della Ctr l’avviso di accertamento era da ritenersi illegittimo per vizi procedurali legati alle operazioni di verifica in quanto l’accesso era stato condotto presso locali utilizzati ad uso promiscuo della legale rappresentante della società accertata, senza che fosse stata rilasciata l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica territorialmente competente.
L’ufficio finanziario ha impugnato la decisione della Ctr lamentando, per quanto di interesse, violazione dell’articolo 52, commi 1 e 2, Dpr n. 633/1972, nella parte in cui i giudici di merito hanno affermato la “necessità invalidante” dell’autorizzazione del Pm all’accesso nei locali dove si è svolta la verifica fiscale, perché locali ad uso promiscuo, aziendale e famigliare della sua legale rappresentante.

La Corte di cassazione ha definito fondata la doglianza dell’Amministrazione finanziaria e ha cassato con rinvio la sentenza impugnata.
Il tema centrale ruota attorno al corretto svolgimento delle modalità di accesso da parte degli organi ispettivi dell’Amministrazione finanziaria in caso di attività di controllo svolta presso i locali del contribuente, che sono differenti a seconda che gli stessi siano (i) adibiti esclusivamente all’esercizio dell’attività d’impresa, (ii) utilizzati promiscuamente per le esigenze connesse all’attività svolta e a fini abitativi oppure (iii) essere prevalentemente identificabili con l’abitazione privata del contribuente.
Se nel primo caso il controllo richiede esclusivamente la lettera d’incarico rilasciata dal capo dell’ufficio che dispone la verifica, negli altri due è necessaria l’autorizzazione rilasciata dal Procuratore della Repubblica. Inoltre, nel caso in cui l’attività si svolga nei locali privati del contribuente, l’autorizzazione è concessa solo in presenza di gravi indizi di violazione delle norme tributarie, al fine di tutelare maggiormente il diritto soggettivo fondamentale dell’inviolabilità del domicilio.
L’articolo 52 del Dpr n. 633/1972 sancisce infatti che “per accedere in locali che siano adibiti anche ad abitazione è necessaria anche l’autorizzazione del procuratore della Repubblica”, specificando che l’accesso in locali diversi da quelli ad uso promiscuo “può essere eseguito, previa autorizzazione del procuratore della Repubblica, soltanto in caso di gravi indizi di violazioni delle norme del presente decreto, allo scopo di reperire libri, registri, documenti, scritture ed altre prove delle violazioni.”

È di tutta evidenza l’importanza di definire i criteri per cui un locale è da ritenersi utilizzato ad uso promiscuo perché da tale qualificazione dipende poi la necessità o meno dell’autorizzazione della Procura. Infatti l’accesso eseguito senza la necessaria autorizzazione inficerebbe la successiva azione amministrativa, con il rischio di nullità del conseguente avviso di accertamento o di inutilizzabilità delle parti dello stesso che sono legate all’atto istruttorio da un nesso di consequenzialità.
La destinazione ad uso promiscuo dei locali ricorre certamente nell’ipotesi in cui i medesimi ambienti siano contestualmente utilizzati per la vita familiare e per l’attività professionale.
Secondo l’interpretazione dei giudici di legittimità la promiscuità dei locali è ravvisabile anche quando i locali aziendali e privati siano distinti, qualora vi sia una agevole e obiettiva possibilità di comunicazione interna tra gli ambienti. In altre parole, tutte le volte in cui l’agevole possibilità di comunicazione interna consenta il trasferimento di documenti propri dell’attività commerciale nei locali abitativi, tali luoghi devono essere qualificati come promiscui e per l’accesso ispettivo è necessaria l’autorizzazione della Procura della Repubblica.

Di conseguenza, se nei locali aziendali in cui è effettuato l’accesso manca siffatta “agevole possibilità” di comunicazione interna con i locali privati del contribuente, perché ad esempio si tratta di immobili collegati solo esternamente, verrebbe meno la loro connotazione di promiscuità e sarebbe sufficiente esclusivamente la lettera d’incarico rilasciata dal capo dell’ufficio che dispone la verifica senza necessità di ottenere l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica.
Nel caso di specie si è verificata proprio tale ultima circostanza, trattandosi di locali non collegati internamente ma solo esternamente, con il conseguente venir meno della ratio di maggior tutela connessa alla promiscuità, prevista nel comma 1 dell’articolo 52, del Dpr n. 633/1972

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