15 Giugno 2020
Il reato è commesso a San Marino: valida la confisca dei beni in Italia
Configura il reato di autoriciclaggio il trasferimento, in conti esteri, del provento di una frode fiscale depositato su un mandato fiduciario, perché questo costituisce uno strumento atto a ostacolare concretamente l’origine delittuosa del danaro frutto di evasione. Inoltre, il reato di autoriciclaggio commesso all’estero può essere sanzionato in Italia con la confisca dei beni nella disponibilità dell’evasore perché, in questo caso, prevale il requisito per cui l’illecito presupposto sia penalmente rilevante in Italia. Questi i principi affermati nella sentenza della Corte di cassazione n. 13571 del 4 maggio 2020.
Il fatto
La controversia prende le mosse dalla sentenza della Corte di appello, che disponeva il riconoscimento in Italia della sentenza penale emessa dall’autorità giudiziaria della Repubblica di San Marino nei confronti di un imprenditore sammarinese, per l’esecuzione in Italia dell’ordine per la confisca per equivalente di danaro nella disponibilità dell’indagato.
Questi era stato condannato per il reato di autoriciclaggio commesso a San Marino, consistito nell’aver trasferito denaro depositato originariamente su un mandato fiduciario su conti di una banca inglese, dando come giustificazione dell’operazione l’acquisto di un immobile, a parere delle autorità sammarinesi, dimostrazione del successivo impiego per “trasformare il danaro”. Avendo svuotato i conti in San Marino, l’autorità giudiziaria ha attivato una richiesta di cooperazione giudiziaria per l’esecuzione della confisca in Italia sui conti correnti nella disponibilità dell’indagato. La misura è stata disposta dal giudice italiano con la decisione poi impugnata dinanzi alla Corte di cassazione dall’imprenditore.
Diversi i motivi di ricorso. Con il primo il contribuente ha lamentato l’erroneità in cui era incorso il giudice italiano, per aver considerato irrilevante la circostanza che la fattispecie di autoriciclaggio sia stata introdotta in Italia dopo la commissione del fatto. Inoltre, il condannato ha lamentato che il giudice non avrebbe valutato che i reati presupposto della fattispecie di autoriciclaggio erano stati, in via definitiva, dichiarati in parte estinti per intervenuta prescrizione.
Con ulteriore motivo di ricorso, ha poi invocato l’esimente di non punibilità di cui all’articolo 648-ter1, comma 4 del codice penale, perché il trasferimento delle somme sul conto corrente del ricorrente aveva riguardato somme “staticamente” presenti sul suo conto da anni e costituenti “risparmio personale”.
I giudici della suprema Corte hanno dichiarato inammissibile, su tutta la linea, il ricorso e hanno confermato la sentenza della Corte d’appello, con condanna del ricorrente alle spese.
La sentenza
Con il primo motivo di ricorso l’imputato ha invocato la violazione, da parte del giudice di merito, del “principio di legalità”, costituzionalmente garantito, in base al quale nessuno può essere punito se un fatto non è considerato reato da un’apposita legge. Nel caso di specie, infatti, il delitto di autoriciclaggio era stato commesso a San Marino il 23 ottobre 2013, in epoca antecedente all’introduzione in Italia del reato di cui all’articolo 648-ter1 del codice penale, avvenuto a opera dell’articolo 3 comma 3 della legge 186/2014, con decorrenza dal 1° gennaio 2015. Pertanto, a parere dell’imputato, anche con riferimento alla misura della confisca per equivalente, avendo questa natura sanzionatoria penale, doveva aversi riguardo al principio di legalità.
La Corte di cassazione ha contestato tale affermazione partendo dal presupposto che, nel caso in esame, la forma di riconoscimento della sentenza straniera non fa discendere effetti penali propri dell’ordinamento italiano, bensì risponde solo all’esigenza di prestare assistenza e collaborazione a uno Stato straniero, al fine di rendere eseguibili le statuizioni derivanti da una sentenza penale emessa dall’autorità giudiziaria di quest’ultimo. Per tutto ciò, la valutazione del giudice deve vertere sulla “riconoscibilità” della domanda di cooperazione, alla luce dell’ordinamento penale dello Stato applicabile al momento della decisione su di essa.
Alla luce di un costante orientamento giurisprudenziale, “nelle procedure di cooperazione giudiziaria non viene in considerazione per lo Stato richiesto (l’Italia) il principio di legalità, che deve essere invece rispettato dallo Stato richiedente (San Marino), con la conseguenza che è sufficiente che il fatto posto alla base della richiesta costituisca un reato secondo l’ordinamento italiano al momento della decisione”.
Nel ricorso, inoltre, l’imputato lamenta che il reato di frode fiscale, presupposto dell’autoriciclaggio, era estinto per avvenuta prescrizione. Sul punto, rigettato anch’esso dai giudici di legittimità, è stato rilevato che la sentenza sammarinese di condanna contiene un accertamento su un “fatto” oramai ritenuto definitivo, che il giudice italiano deve considerare come tale, rilevando unicamente che “il fatto – presupposto del reato di autoriciclaggio – sia un reato secondo l’ordinamento penale italiano”, come nel caso de qua.
Il Collegio, infine, ha fornito un’importante precisazione sul rilievo posto dal ricorrente in merito alla corretta interpretazione del quarto comma dell’articolo 648-ter1 del codice penale, che prevede la non punibilità dal reato di autoriciclaggio con riferimento alle “condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale”.
Deve escludersi, come nel caso di specie, il requisito del godimento personale perché la condotta dell’agente consistite in trasferimenti su conti esteri di danaro, provento di reati da lui commessi, “avvenuti non per fini di mera utilizzazione o di godimento personale, bensì per ostacolarne concretamente l’identificazione della origine delittuosa grazie all’utilizzo di strumenti di schermo, quali il mandato fiduciario”.
È evidente come una tale condotta non possa ravvisare una causa di non punibilità, che è integrata solo nel caso in cui l’agente utilizzi beni, provento del delitto presupposto, in modo diretto e senza compiere su di essi alcuna operazione atta a ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa (cfr Cassazione, sentenze nn. 36522/2019 e 30399/2018). In buona sostanza, quindi, la non punibilità si ravvisa solo se l’agente si limiti al mero utilizzo o al godimento dei beni provento del delitto presupposto, senza porre in essere alcuna attività ingannevole per ostacolarne l’identificazione.
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