9 Giugno 2020
Finanziamenti peer to peer lending: precisazioni sul trattamento fiscale
Con due risposte ad altrettanti interpelli del 9 giugno 2020, l’Agenzia delle entrate, giunge a conclusioni collegate in materia di tassazione di finanziamenti e proventi da peer to peer lending. In sostanza, afferma che il gestore non autorizzato dalla Banca d’Italia non effettua la ritenuta e che, se la ritenuta non è operata, il provento finisce nel reddito imponibile del finanziatore. Le due affermazioni, così sintetizzate, partono da due punti di vista diversi.
Con il primo interpello (il n. 168), infatti, una società italiana, intenzionata a gestire una piattaforma online di peer to peer lending – finalizzata alla raccolta di capitali da parte di soggetti professionali e non per sostenere lo sviluppo di progetti di tecnologia digitale applicata ai servizi finanziari, proposti da imprese, enti pubblici e privati – in qualità di gestore e agente di un Istituto di pagamento francese con cui autorizzerà le varie transazioni, chiede se, in merito ai capitali gestiti ed erogati, può operare come sostituto d’imposta ed effettuare la ritenuta prevista dall’articolo 1, comma 44, legge n. 205/2017.
Con il secondo (il n. 169), invece, è il contribuente finanziatore che vuole sapere come tassare (anche ai fini dell’Ivafe) i proventi ricevuti attraverso una società di gestione estera che, non essendo autorizzata dalla Banca d’Italia, non ha effettuato la prevista ritenuta.
Considerato che i casi prospettati rientrano nell’ambito di un’unica disposizione normativa (articolo 1, commi 43 e 44, legge n. 205/2017), l’Agenzia ricorda innanzitutto che la stessa ha introdotto alcune novità sulla disciplina fiscale relativa alle attività di raccolta ed erogazione fondi da parte di soggetti che svolgono l’attività del peer to peer lending, con riferimento a una specifica tipologia di finanziatori non professionali, ossia le persone fisiche non esercenti attività d’impresa.
In particolare, con il comma 43 (che ha inserito la lettera d-bis) all’articolo 44, comma 1, del Tuir) ha accolto tra i redditi di capitale “i proventi derivanti da prestiti erogati per il tramite di piattaforme di prestiti per soggetti finanziatori non professionali (piattaforme di Peer to Peer Lending) gestite da società iscritte all’albo degli intermediari finanziari di cui all’articolo 106 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 ,o da istituti di pagamento rientranti nell’ambito di applicazione dell’articolo 114 del decreto legislativo n. 385 del 1993, autorizzati dalla Banca d’Italia”. Con il comma 44, ha poi stabilito che tali gestori “operano una ritenuta alla fonte a titolo di imposta sui redditi di capitale corrisposti a persone fisiche”, applicando l’aliquota del 26% (attualmente prevista dall’articolo 3, comma 1, del Dl n. 66/2014).
Quindi, ai fini dell’applicazione della ritenuta a titolo d’imposta sui proventi derivanti da investimenti su piattaforme di P2P lending, è necessario che:
- il finanziatore sia una persona fisica, al di fuori dell’esercizio di un’attività d’impresa
- il gestore della piattaforma debba essere un intermediario finanziario iscritto all’albo o un istituto di pagamento ai sensi della normativa prevista dagli articoli 106 e 114 del Tub, autorizzato dalla Banca d’Italia.
Tanto premesso, il primo caso è praticamente risolto. La società istante, infatti, non essendo un intermediario finanziario iscritto all’albo (articolo 106, Tub) né un istituto di pagamento (articolo 114, Tub), autorizzati dalla Banca d’Italia, non può applicare la ritenuta prevista dall’articolo 1, comma 44 della legge di bilancio 2018 sugli interessi erogati attraverso la piattaforma online in relazione ai finanziamenti di peer to peer lending.
Per quanto riguarda, invece, la seconda istanza, preso atto del fatto che la ritenuta non è stata giustamente operata dal gestore estero, l’Agenzia osserva che i proventi derivanti all’investimento effettuato dall’istante possono essere considerati redditi di capitale da ricondurre nella categoria degli “gli interessi e altri proventi derivanti da mutui, depositi e conti correnti” da indicare nella dichiarazione annuale, ai fini della formazione della base imponibile Irpef.
In particolare, deve indicarli nella sezione I-A del Quadro RL del modello Redditi 2019 nel rigo RL2, indicando nella colonna 1, il codice “1”.
In merito al monitoraggio fiscale (articolo 4, comma 1, Dl n. 167/1990) poi, l’investimento detenuto dall’istante sulla piattaforma estera deve essere indicato nel quadro RW del modello Redditi Pf, utilizzando il codice “14” relativo ad “altre attività estere di natura finanziaria”.
Con riferimento, infine, all’imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero (Ivafe), dovuta, nel caso in esame, perché l’investimento possiede il requisito della “negoziabilità” nel mercato dei capitali ed è quindi un “prodotto finanziario” (articolo 1, Tuf), il contribuente dovrà versarla nella misura del 2 per mille da applicare al valore rapportato alla quota di possesso e al periodo di detenzione.

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