31 Marzo 2020
Ricavi esigui, costi molto alti, il Fisco fa bene a dubitare
È legittimo l’accertamento dei maggiori corrispettivi per la cessione di villette costruite da una società quando l’Amministrazione finanziaria desume l’esistenza di attività non dichiarate sulla base di presunzioni semplici, ma gravi, precise e concordanti, come, tra i molteplici elementi di fatto, la sproporzione tra i ricavi e i costi e l’operatività in perdita della società. La circostanza, infatti, ben può costituire, di per sé, in assenza di giustificazioni, un elemento indiziario grave e preciso della sottofatturazione dei corrispettivi. Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza n. 4410 dello scorso 20 febbraio.
I fatti
L’Agenzia delle entrate ha notificato a una srl un avviso accertamento, relativo a Ires, Irap e Iva, (anche) per l’anno d’imposta 2005, con il quale, tra l’altro, ha rettificato, in aumento e in misura pari a 832.090 euro, i corrispettivi della vendita di sei villette.
L’avviso, impugnato dalla contribuente in Commissione tributaria provinciale, è stato annullato. La Commissione regionale, invece, in riforma della sentenza impugnata e confermando il rilievo dell’ufficio, ha affermato che l’esiguità dei ricavi dichiarati in rapporto ai costi sostenuti (con redditività negativa) legittimava l’amministrazione a una loro ricostruzione induttiva e all’utilizzo, quale dato oggettivo di raffronto, dei valori di vendita al metro quadrato, in quella zona e per quella tipologia di alloggi, predisposti dalla Fiaip (Federazione italiana agenti immobiliari professionali) e dall’Omi (Osservatorio del mercato immobiliare). Ciò in quanto tali valori sono notoriamente inferiori a quelli di libera contrattazione e, inoltre, sono riferiti alle superfici lorde (e non commerciali) degli immobili.
La ricostruzione così effettuata dall’ufficio ha dato come risultato un notevole scostamento dei ricavi accertati rispetto a quelli dichiarati, tale da produrre gli effetti di una presunzione legale di corrispettivi occultati, soprattutto perché la contribuente, sulla quale gravava l’onere della prova, non aveva fornito alcuna giustificazione nel corso del giudizio né aveva mai prodotto i preliminari di vendita, che, di solito, nell’interesse delle società costruttrici, vengono predisposti prima di procedere alle vendite e ancor prima delle ultimazioni delle costruzioni.
In particolare, i giudici di appello hanno ritenuto che la presunzione dei maggiori ricavi fosse rafforzata dai dati emersi dalle interrogazioni all’anagrafe tributaria secondo i quali la società, operante dal 1998 sul mercato, aveva realizzato costantemente redditi imponibili negativi fino al 2008, operando così fuori da ogni logica produttiva.
Avverso la sentenza di secondo grado la società ha proposto ricorso per Cassazione lamentando che la Commissione regionale:
- aveva omesso di pronunciarsi, con vioalizone anche dell’articolo 112 cpc, sull’eccezione relativa alla violazione dell’articolo 57, Dlgs n. 546/92, poiché l’Agenzia delle entrate aveva dedotto in appello nuovi motivi giustificativi della pretesa, relativi, in particolare, all’andamento costantemente in perdita della contribuente nel periodo 1998 – 2008 e aveva poi utilizzato tali giustificazioni nella sentenza impugnata
- aveva prodotto una motivazione insufficiente con riferimento:
- alla rettifica dei corrispettivi della vendita delle sei villette, poiché non erano stati indicati gli indizi concreti che per le loro carattersistiche di gravità, precisioe e concordanza, potevano essere ritenuti idonei a fondare la presunzione di conseguimento di maggiori corrispettivi della vendita degli immobili nella misura accertata
- alla sussistenza dei presupposti per operare un accertamento induttivo ex articolo 39, comma 1, lettera d), Dpr n. 600/73
- all’utilizzo, da parte dell’ufficio, di presunzioni di presunzioni.
La Corte ha ritenuto infondati tali motivi. In particolare ha affermato che, per costante giurisprudenza di legittimità, il vizio di omessa pronuncia è configurabile solo nel caso di mancato esame, da parte del giudice, di questioni di merito e non di questioni processuali (Cassazione, nn. 22083/2013, 1876/2018, 25154/2018 e n. 10422/2019). Di conseguenza, poiché la questione relativa all’eccezione di violazione dell’articolo 57, Dlgs n. 546/1992 era “… puramente processuale”, “… la nullità della sentenza o del procedimento poteva essere prospettata soltanto per la violazione di norme processuali diverse dall’art. 112 c.p.c., deducendo l’erroneità della soluzione implicitamente data dal giudice alla questione posta dalla parte …” (Cassazione, nn. 10073/2003, 3667/2006, 1876/18 e 4410/20).
Osservazioni
I giudici di piazza Cavour si sono pronunciati sulla legittimità della determinazione dei maggiori ricavi con metodo induttivo, utilizzando presunzioni gravi, precise e concordanti, dopo aver verificato, sul piano processuale, la sussistenza della violazione, da parte dell’ufficio, dell’articolo 57, Dlgs n. 546/1992.
Nel processo tributario d’appello, infatti, l’Amministrazione finanziaria non può mutare i termini della contestazione, deducendo motivi diversi da quelli contenuti nell’avviso di accertamento e avanzando pretese diverse, sotto il profilo del fondamento giustificativo e, dunque, sul piano della “causa petendi”, da quelle recepite nell’atto impositivo (Cassazione, nn. 9810/2019, 17231/2019 e 9810/2014).
A tale riguardo, il motivo d’impuganzione risulta infondato per due ragioni, In primmo luogo, nonostante la Corte sia anche giudice del fatto in presenza di un error in procedendo e abbia il potere di esaminare direttamente gli atti di causa, non può rilevare ex officio la violazione del l’articolo 57 citato, essendo necessario che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” del quale chiede il riesame (Cassazione, nn. 2771/2017 e 1170/2004).
Nel caso esaminato, tale onere non è stato assolto poiché la società si è limitata alla sola indicazione delle controdeduzioni all’appello quale atto nel quale aveva sollevato l’eccezione, non precisando né quali fossero i motivi contenuti nell’avviso di accertamento notificato nè quali fossero i motivi diversi addotti dall’Agenzia delle entrate nel proprio appello, al fine di dimostrare, confrontandoli, che i termini della contestazione erano stati mutati dall’Amministrazione finanziaria in sede di gravame rispetto a quelli contenuti nell’avviso di accertamento.
In secondo luogo, poi, con riferimento a tale confronto, la sentenza della Commissione regionale aveva motivato la rettifica dei corrispettivi di vendita con la loro sottofatturazione in considerazione sia delle valutazioni dell’Omi e della Fiaip relative a tale tipologia di immobili nella zona, sia della mancanza dei contratti preliminari di vendita. Rispetto a tale fondamento giustificativo della pretesa fiscale, la Corte ha richiamato la deduzione riportata nell’appello dell’Agenzia delle entrate e riprodotta nella sentenza impugnatata, secondo la quale “per l’occultamento dei ricavi relativi alla vendita degli immobili la prova certa risultava dal comportamento della società verificata di dichiarare costantemente dal 1998 al 2008 perdite di esercizio”. In particolare, la Cassazione ha chiarito che tale deduzione “non costituisce una causa petendi alternativa nè ulteriore, ma un mero argomento difensivo, legittimamente diretto a supportare l’attendibilità della sottofatturazione dei ricavi della vendita delle villette…”.
Superate le eccezioni processuali, in relazione ai profili collegati all’insufficiente motivazione della sentenza impugnata, la Cassazione ha statuito che l’accertamento dei maggiori corrispettivi della cessione delle villette costruite dalla società è stato operato ex articolo 39, comma 1, lettera d), secondo periodo, Dpr n. 600/73. Quest’ultima disposizione consente all’Amministrazione finanziaria di desumere “l’esistenza di attività non dichiarate …anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti”. Gli elementi indiziari che hanno conferito i caratteri della gravità, precisione e concordanza alle presunzioni semplici poste a base dell’accertamento e riporate nella parte motiva dell’atto impositivo, sono state anche puntualmente indicati anche dalla stessa la Ctr.
Si trattava, cioè:
- della sproporzione tra i ricavi dichiarati, esigui, e i costi sostenuti, con operatività in perdita della società; anomalia, quest’ultima, che, evidenziando un contrasto con i criteri di economicità che ispirano l’agire degli imprenditori commerciali, può di per sé costituire, in assenza di spiegazioni della contribuente, un elemento indiziario grave e preciso della sottofatturazione dei corrispettivi, in quanto ciò solo potrebbe rendere la costruzione e la cessione delle villette coerente con gli scopi di un’attività imprenditoriale
- del “notevole scostamento” tra i corrispettivi riportati nella contabilità e i prezzi di vendita della stessa tipologia di immobili nella zona rilevati dall’Omi e dalla Fiaip. Le quotazioni di questi due organismi, dunque, ritenute dal giudice di secondo grado come ulteriori plurimi convergenti elementi indiziari, valevoli, nel loro complesso, a giustificare la rettifica in aumento dei corrispettivi. La sentenza impugnata non contrasta, perciò, con l’orientamento di legittimità secondo il quale “è legittima, nel settore immobiliare, la rettifica dei corrispettivi dichiarati solo qualora i valori Omi si combinino con altri elementi indiziari gravi, precisi e concordanti (…), altrimenti versandosi in una non consentita presumptio de presumpto” (Cassazione, n. 2155/19). Al riguardo, la stessa Cassazione ha stabilito che se una sola banca dati, come l’Omi, non è sufficiente a sorreggere l’accertamento, lo sono invece due: il Fisco, infatti, può legittimamente desumere maggiori ricavi non dichiarati derivanti dalla cessione di un immobile a prezzi inferiori a quelli risultanti congiuntamente dai valori OMI e da quelli dell’Osservatorio Fiaip (Cassazione, n. 12915/19).
Infine, la Commissione regionale, constatato che la società non aveva fornito alcuna spiegazione documentata delle anomalie evidenziate (nè aveva prodotto alcun contratto preliminare di compravendita degli immobili), corroborava gli indicati elementi indiziari con il riscontro della circostanza, emergente dall’anagrafe tributaria, che la stessa società aveva dichiarato perdite per ben dieci anni (dal 1998, anno di inizio dell’attività, al 2008), contraddicendo tale circostanza “ad ogni logica produttiva”.
In conclusione, quindi, la Cassazione ha affermato che la sentenza impugnata era immune dai vizi motivazionali denunciati poiché, muovendo dagli indicati elementi di fatto, relativi sia alla specifica operazione commerciale sia al più generale comportamento economico della contribuente, ha argomentato il conseguimento di maggiori corrispettivi della stessa operazione.

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