Giurisprudenza

12 Settembre 2018

Omissioni e risposte ambiguedanno fondamento all’induttivo

Giurisprudenza

Omissioni e risposte ambigue
danno fondamento all’induttivo

Il questionario va compilato in modo da consentire la verifica dell’ufficio, altrimenti il sospetto di inattendibilità delle scritture rende grave la presunzione di attività non dichiarate

Omissioni e risposte ambigue|danno fondamento all’induttivo

Legittimo l’accertamento induttivo a carico del contribuente che risponde in modo evasivo al questionario dell’Agenzia delle entrate. Non basta, infatti, ottemperare formalmente all’invito producendo documentazione, ma è necessario che tale produzione sia pertinente e idonea a fornire i chiarimenti richiesti, pena, in mancanza, una sostanziale omessa esibizione.
Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza n. 21823 del 7 settembre 2018.
 
La vicenda processuale e la pronuncia della Cassazione
La vicenda riguardava un avviso di accertamento con cui veniva contestata, tra l’altro, l’omessa contabilizzazione di alcuni componenti positivi derivanti dalla vendita dei macchinari prodotti dalla contribuente. In particolare, con questionario, l’Agenzia chiedeva la documentazione atta a verificare il ricarico applicato alle merci più rappresentative. Nell’atto impugnato, però, l’ufficio, rilevato che la documentazione era non solo carente, ma addirittura omissiva rispetto alla richiesta, non consentendo la ricostruzione del ricarico, procedeva alla ricostruzione dei ricavi con metodo induttivo puro.
 
Col ricorso in Cassazione la società denunciava violazione dell’articolo 39, comma 2, lettere d) e d-bis), del Dpr 600/1973, in quanto i giudici di appello avevano ritenuto legittimo il ricorso al metodo induttivo nonostante la regolare tenuta della contabilità e la puntuale risposta al questionario con la produzione di tutta la documentazione richiesta. Inoltre, secondo i ricorrenti, vi era stata un’omessa pronuncia in ordine all’esaustività e alla pertinenza della documentazione fornita.
 
Nel rigettare il motivo di ricorso, la Cassazione ricorda, innanzitutto, il dato normativo ovvero il comma 2 del citato articolo 39, secondo cui “l’ufficio delle imposte determina il reddito d’impresa sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e dalle scritture contabili in quanto esistenti…
d-bis) quando il contribuente non ha dato seguito agli inviti disposti dagli uffici ai sensi dell’articolo 32, primo comma, numeri 3) e 4), del presente decreto o dell’articolo 51, secondo comma, numeri 3) e 4), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633…”.
 
Secondo la motivazione della Ctr, la mancata pertinenza della documentazione fornita, assieme ad alcune anomalie contabili, giustificavano l’emissione dell’induttivo. Tanto basta, secondo la Cassazione, per ritenere insussistente il vizio di omessa pronuncia, in quanto trattasi di una reiezione implicita delle argomentazioni logico-giuridiche della contribuente ancorché non espressamente esaminate (cfr Cassazione, pronuncia 19194/2017).
 
In ordine al vizio di violazione di legge, i giudici ricordano il consolidato orientamento della Cassazione, secondo cui il comportamento del contribuente che ometta di rispondere ai questionari previsti dal Dpr 600/1973 e non ottemperi alla richiesta di esibizione di documenti e libri contabili relativi all’impresa esercitata, impedendo in tal modo o, comunque, ostacolando la verifica da parte dell’ufficio dei redditi prodotti, vale di per sé solo a ingenerare un sospetto sull’attendibilità di dette scritture, rendendo “grave” la presunzione di attività non dichiarate e legittimo l’accertamento induttivo ai sensi dell’articolo 39, primo comma, lettera d), del Dpr 600/1973 (cfr Cassazione, pronuncia 17968/2013).
 
Nel caso di specie, nonostante la formale ottemperanza alle richieste dell’ufficio, era incontestato il fatto che si trattasse di documentazione non pertinente, tanto da concretizzare, nella sostanza, un’omessa esibizione. Tale argomentazione, fatta propria dai giudici d’appello, era frutto di un accertamento di fatto incontestabile in Cassazione, se non attraverso un vizio di motivazione e non con il vizio di violazione di legge.
 
Ulteriori osservazioni
L’articolo 32, comma 4, del Dpr 600/1973, prevede che “le notizie ed i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri ed i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell’ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa. Di ciò l’ufficio deve informare il contribuente contestualmente alla richiesta”.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, l’ufficio non può contestare l’inutilizzabilità di elementi e documenti tardivamente prodotti qualora abbia omesso di avvertire il contribuente delle conseguenze dell’inottemperanza alla richiesta (Cassazione, pronunce 10 gennaio 2013, nn. 453 e 455).
 
È orientamento costante della Corte di cassazione (espresso anche in merito all’accertamento sintetico), quello secondo cui “la mancata risposta al questionario, come la mancata esibizione o trasmissione di atti, documenti, libri e registri, in risposta agli inviti dell’ufficio, producono l’effetto d’impedirne la considerazione a favore del contribuente…” (Cassazione, 28049/2009, cfr anche Cassazione, nn. 453/2012, 455/2013 e 17055/2012).
Tuttavia, il richiamato articolo 32, all’ultimo comma, attenua il rigore della preclusione, consentendo la produzione dei suddetti elementi al “contribuente che depositi in allegato all’atto introduttivo del giudizio di primo grado in sede contenziosa le notizie, i dati, i documenti, i libri e i registri, dichiarando comunque contestualmente di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a lui non imputabile”.
La valutazione della fondatezza dell’esimente dedotta dal contribuente resta affidata al prudente apprezzamento del giudice, tenuto conto che “per principio giurisprudenziale consolidato, il giudice di merito è libero di fondare il proprio convincimento su determinati elementi probatori ed il relativo giudizio, risolvendosi in un apprezzamento di merito demandato dalla legge all’esclusiva competenza del giudice, non è censurabile in sede di legittimità” (cfr ex plurimis, Cassazione, nn. 20490/2010 e 19906/2010).

Francesco Brandi

pubblicato Mercoledì 26 Settembre 2018

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