31 Maggio 2021
Il comportamento “concludente” definisce il regime applicato
Il contribuente che nel 2020 ha applicato, da quanto emerge dal suo comportamento concludente, il regime ordinario nonostante avesse i requisiti per usufruire del forfetario, non può, a marzo 2021, ripensarci e passare al forfetario emettendo, per correggere la situazione, le note di variazione e una fattura a favore della controparte pari all’importo dell’Iva stornata. È quanto precisa l’Agenzia delle entrate con la risposta n. 378 del 31 maggio 2021.
Il quesito si focalizza sul comportamento di un collaboratore che per la sua attività resa nei confronti del rappresentante legale istante, nel 2020, ha emesso 12 fatture, regolarmente saldate, comprensive di Iva e contributo previdenziale, secondo le regole del regime fiscale ordinario. Il 3 marzo 2021, lo stesso ha comunicato via e-mail di aver «erroneamente ed involontariamente applicato il regime ordinario di tassazione in luogo di quello forfetario di cui all’art. 1, commi da 54 a 84 della legge n. 190 del 2014», suo regime naturale per il 2020. Il professionista ritiene che tale errore materiale non può concretizzarsi in un comportamento concludente per l’opzione (tacita) per il regime ordinario e che, pertanto, tale opzione non è stata mai esercitata. In particolare, con riferimento alla richiesta del collaboratore, il professionista ritiene di poter rimediare accettando le note di credito per lo storno dell’Iva indicata nelle fatture 2020 e, contestualmente, compensando le note di credito con la fattura a titolo di ulteriore corrispettivo di importo pari all’imposta stornata.
Il forfetario (articolo 1, commi 54-89, legge n. 190/2014) è il regime semplificato, naturale, di cui possono usufruire le persone fisiche che esercitano attività di impresa, arte o professione in forma individuale, in possesso di determinati requisiti (comma 54) e che non incorrano in una delle cause di esclusione stabilite (comma 57).
L’Agenzia premette che non è prevista alcuna specifica opzione da parte del contribuente che, già in attività, decide di adottarlo in sostituzione dell’ordinario applicato nei periodi precedenti.
Tuttavia non si può prescindere, per quanto riguarda la scelta o la revoca di un regime fiscale o contabile cui bisogna fare riferimento, dai comportamenti “concludenti”, ossia concreti del contribuente, o dalle modalità di tenuta delle scritture contabili. E, comunque, “La validità dell’opzione e della relativa revoca è subordinata unicamente alla sua concreta attuazione sin dall’inizio dell’anno o dell’attività. […]” (Dpr n. 442/1997).
Riassumendo la situazione in questione, il collaboratore dell’istante, negli anni precedenti, non ha applicato il forfetario (pur potendolo fare), nel 2020, ma anche nel 2021, ha continuato a emettere fatture con Iva e contributo previdenziale, in linea con gli anni antecedenti, ha presentato le liquidazioni periodiche, presumibilmente sulle fatture ha indicato anche la ritenuta a d’acconto. Infine è dubbio se ha comunicato, entro il 28 febbraio del 2020, alla Cassa forense, l’opzione per il regime di favore ai fini contributivi.
Circostanze che portano l’amministrazione finanziaria a escludere che il collaboratore possa diventare forfetario, dal 2020, secondo la strada da lui tracciata.
Non ci sono le condizioni, conclude l’Agenzia, affinché possa cambiare a marzo 2021, il regime ordinario, confermato dal suo comportamento concludente. Di conseguenza, risulta inapplicabile la soluzione proposta dal professionista, che prevede il passaggio al forfetario tramite l’emissione di note di variazione e di una fattura pari all’imposta dell’Iva stornata.
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