23 Ottobre 2025
Rimborsi chilometrici agli autonomi: se non documentati diventano reddito
Per evitare abusi e garantire trasparenza, il legislatore ha previsto che solo gli indennizzi analitici, debitamente dimostrati, possano beneficiare dell’esclusione dal reddito

Il rimborso chilometrico, pur concordato e calcolato secondo parametri oggettivi, se non sufficientemente analitico e documentato, concorre alla formazione del reddito di lavoro autonomo e deve essere assoggettato alla ritenuta alla fonte prevista dalla normativa vigente. È quanto precisa l’Agenzia delle entrate con la risposta n. 270 del 23 ottobre 2025, nella quale affronta un caso concreto che le ha permesso di spiegare come debbano essere trattate, dal lato fiscale, le somme percepite da un professionista a titolo di rimborso chilometrico, dopo l’entrata in vigore (nel 2025) delle modifiche introdotte dal decreto legislativo n. 192/2024 al regime fiscale applicabile ai rimborsi spese nel lavoro autonomo.
Il professionista in questione ha emesso una fattura nei confronti di una società cliente, includendo sia il compenso per la prestazione della propria consulenza sia un rimborso spese chilometriche, assoggettato a Iva. Tale rimborso era stato concordato preventivamente con il committente e calcolato in base ai chilometri percorsi e a una tariffa pattuita. A fronte di questa situazione, il contribuente ha chiesto all’Agenzia delle entrate se il rimborso, pur non supportato da giustificativi fiscali di terzi, potesse essere escluso dalla ritenuta d’acconto, e se fosse sufficiente documentare i chilometri percorsi e i parametri di calcolo per evitare l’obbligo di ulteriori giustificativi come gli scontrini del carburante.
La risposta dell’Agenzia si fonda sull’articolo 54 del Tuir, che stabilisce il principio di onnicomprensività del reddito di lavoro autonomo, includendo tutte le somme percepite nel periodo d’imposta. Ma, al contempo, con il comma 2 dello stesso articolo prevede alcune eccezioni. Tra queste, l’esclusione dal reddito delle somme percepite a titolo di rimborso spese, purché queste siano addebitate analiticamente al committente. Ciò significa che il professionista deve indicare in fattura le spese in modo separato rispetto ai compensi, e deve essere in grado di dimostrare che tali spese sono state effettivamente sostenute per l’esecuzione dell’incarico.
L’Agenzia, in sostanza, chiarisce che l’analiticità dell’addebito non può essere intesa come una semplice indicazione forfettaria basata su chilometri percorsi e tariffa pattuita. È necessario che le spese siano documentate in modo puntuale e riferibile all’attività professionale, attraverso elementi che consentano un controllo di coerenza e correttezza. In assenza di tale documentazione, il rimborso chilometrico non può essere considerato escluso dalla formazione del reddito e, di conseguenza, deve essere assoggettato a ritenuta d’acconto.
Questa interpretazione si inserisce nel quadro più ampio della riforma fiscale che ha voluto superare la criticità di considerare come compensi anche le somme che, pur essendo rimborsate dal committente, non rappresentano un reale incremento del reddito del professionista. Tuttavia, per evitare abusi e garantire la trasparenza, il legislatore ha previsto che solo i rimborsi analitici, debitamente documentati, possano beneficiare dell’esclusione dal reddito.
Nel caso specifico, il rimborso chilometrico, pur concordato e calcolato secondo parametri oggettivi, non è stato ritenuto sufficientemente analitico e documentato. Pertanto, concorre alla formazione del reddito di lavoro autonomo e deve essere assoggettato alla ritenuta alla fonte prevista dalla normativa vigente.
In conclusione, la risposta n. 270/2025 ribadisce l’importanza della documentazione analitica e della separazione contabile tra compensi e rimborsi spese, sottolineando che solo in presenza di questi requisiti è possibile escludere i rimborsi dalla base imponibile del reddito professionale.

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