6 Giugno 2024
Perdita di reddito del lavoratore, ristoro soggetto a tassazione separata
Le somme versate da una società alla ex lavoratrice, a seguito di una sentenza che aveva accertato l’illegittimità del contratto di somministrazione per superamento del limite consentito (articolo 31, comma 2, Dlgs n. 81/2015 e articolo 13 del Ccnl) hanno natura risarcitoria e devono essere tassate separatamente. È la sintesi del chiarimento fornito dall’Agenzia con la risposta n. 130/2024.
Nella domanda di interpello presentata all’Agenzia, la società istante fa presente che il giudice del lavoro l’ha condannata al pagamento di un’indennità risarcitoria complessiva, a favore della lavoratrice, nella misura di 2,5 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, oltre interessi e rivalutazione monetaria.
L’istante ritiene che non sia applicabile, al caso prospettato, la disciplina sul pubblico impiego e che, di conseguenza, il risarcimento sia finalizzato alla mera reintegrazione del mancato reddito. Lo stesso giudice, viene evidenziato nell’interpello, ha confermato la non assimilabilità del datore di lavoro in esame (società a partecipazione pubblica) agli enti pubblici e la conseguente inapplicabilità delle misure previste dalla normativa sul lavoro nella Pa (Dlgs n. 165/2001), escluso l’obbligo delle procedure concorsuali.
L’istante, quindi, chiede il corretto trattamento fiscale da applicare alle somme corrisposte alla lavoratrice e se le stesse possano essere assoggettate a tassazione separata.
L’Agenzia ricorda la regola generale sulla tassazione degli indennizzi relativi alla perdita di redditi, in base alla quale la somma è soggetta a tassazione solo se destinata a compensare il mancato guadagno (lucro cessante), ossia il reddito non conseguito, e non anche nella diversa ipotesi in cui serve a risarcire le perdite economiche (danno emergente), mancando in quest’ultimo caso la funzione sostitutiva di trattamenti retributivi.
Tale principio trova conferma anche in diversi documenti di prassi (risoluzione n. 106/2009 e n. 356/2007) in cui fra l’altro è stato precisato che l’interessato è tenuto a provare concretamente l’esistenza e l’ammontare di tale danno, diversamente la somma versata dal datore di lavoro avrà, in via presuntiva, la natura di ristoro e quindi si qualificherà come lucro cessante (vedi anche Cassazione n. 360/2009, n. 14167/2003 e n. 4099/2000).
Nel caso in esame, non trattandosi di un rapporto di lavoro subordinato, l’unica conseguenza applicabile alla violazione accertata dal giudice sul superamento dei limiti consentiti va inquadrata nell’articolo 39, comma 2 del Dlgs n. 81/2015 (“Nel caso in cui il giudice accolga la domanda di cui al comma 1, condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno in favore del lavoratore, stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’articolo 8 della legge n. 604 del 1966. La predetta indennità ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive, relativo al periodo compreso tra la data in cui il lavoratore ha cessato di svolgere la propria attività presso l’utilizzatore e la pronuncia con la quale il giudice ha ordinato la costituzione del rapporto di lavoro”).
L’Agenzia, quindi, chiarisce che nel caso in esame l’indennità riconosciuta dal giudice al lavoratore, pari a 2,5 mensilità vada qualificata come risarcimento del danno consistente nella perdita di redditi di lavoro dipendente e abbia valore di reddito non conseguito, ai sensi dell’articolo 6 del Tuir, per cui è comunque soggetta a tassazione.
Considerando, infine, che il Tuir prevede l’applicazione separata sugli «emolumenti arretrati per prestazioni di lavoro dipendente riferibili ad anni precedenti, percepiti per effetto di leggi, di contratti collettivi, di sentenze o di atti amministrativi sopravvenuti o per altre cause non dipendenti dalla volontà delle parti, compresi i compensi e le indennità di cui al comma 1 dell’articolo 50 e al comma 2 dell’articolo 49» (articolo 17, comma 1, lettera b), l’Agenzia ritiene che l’istante debba assoggettare a tassazione separata le somme corrisposte a titolo di ristoro per la perdita retributiva del dipendente.
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