Analisi e commenti

21 Marzo 2023

Dichiarazione omessa, imposte pagate: quando la sanzione è troppo alta

La sentenza della Consulta n. 46 del 17 marzo scorso dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale, sotto il profilo della violazione dei principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza, sollevata in relazione all’articolo 1, comma 1, Dlgs n. 471/1997, che prevede una sanzione amministrativa minima del 120% per i casi di omessa dichiarazione, anche se il contribuente versa imposte e sanzioni ridotte prima di ricevere l’avviso di accertamento.

La pronuncia origina da un’ordinanza di rimessione della Ctp di Bari che dubitava, in riferimento agli articoli 3, 53 e 76 della Costituzione, della legittimità costituzionale degli articoli 1, comma 1, primo periodo, e 13, comma 1, Dlgs n. 471/1997.

In particolare, la prima disposizione censurata prevede che “nei casi di omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive, si applica la sanzione amministrativa dal 120 al 240% dell’ammontare delle imposte dovute, con un minimo di euro 250”. La seconda disposizione, poi, sancisce l’irrogazione della sanzione pari al 30% degli importi non versati per il contribuente che, dopo avere presentato la dichiarazione dei redditi, non esegua, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i pagamenti delle imposte dovute.

Le questioni, spiegava la Ctp, erano sorte nel corso di un giudizio riguardante due avvisi di accertamento emessi dalla Agenzia delle entrate nei confronti di una società consolidante, con riferimento a un biennio, non avendo essa provveduto alla presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al consolidato fiscale, pur avendo presentato la propria, come del resto le consolidate. Con detti avvisi, venivano comminate sanzioni per omessa presentazione delle dichiarazioni dei redditi, pari al 120% delle imposte accertate.

Tuttavia, la contribuente dimostrava di avere pagato integralmente le imposte dovute, unitamente agli interessi e alle sanzioni ridotte, prima di ricevere gli avvisi di accertamento impugnati.
Ebbene, il giudice barese dubitava della legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 1, primo periodo, Dlgs n. 471/1997, sotto un primo profilo, in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, con riguardo ai principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza, nella parte in cui prevede che, ove alla omessa presentazione della dichiarazione dei redditi faccia comunque seguito, prima della ricezione di avvisi di accertamento, il versamento spontaneo dell’imposta, la sanzione dal 120 al 240% si applichi sull’intero ammontare di tutte le imposte dovute sulla base della dichiarazione omessa anziché solo sull’importo residuo delle imposte da versare da parte del contribuente.
Infatti, secondo la Ctp, la condotta di chi, pur non presentando la dichiarazione dei redditi, effettui i pagamenti per intero, prima della ricezione dell’avviso di accertamento, sarebbe meno grave di quella di chi ometta non solo la presentazione della dichiarazione dei redditi, ma anche il pagamento delle imposte. Inoltre, lo stesso articolo 3, per la Commissione del capoluogo pugliese, subirebbe un vulnus anche sotto un ulteriore profilo, in quanto scoraggerebbe l’adempimento tardivo, ma spontaneo, del pagamento delle imposte, demotivando i contribuenti che non ne ricaverebbero alcun vantaggio.

La decisione della Consulta
Dopo aver dichiarato inammissibili alcune altre questioni sottoposte, la Corte costituzionale scrutina, nel merito, le questioni di legittimità costituzionale sollevate sul primo periodo dell’articolo 1, comma 1, Dlgs n. 471/1997, in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, sotto il profilo della violazione dei principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza, ritenendole non fondate.

In proposito, la Ctp di Bari riteneva eccessivamente afflittiva la sanzione in questione, anche irrogata nel minimo edittale del 120%, in riferimento al comportamento “virtuoso” del contribuente.
Al riguardo, il giudice delle leggi premette che un sistema di fiscalità di massa poggia sull’architrave dell’autoliquidazione delle imposte, cui deve corrispondere, nell’ambito dell’imposta sui redditi, la fedele compilazione e la tempestiva presentazione della dichiarazione, che costituisce uno degli atti più importanti nell’ambito della disciplina attuativa di tale imposta. In questo senso, tramite la dichiarazione dei redditi, il contribuente è chiamato a collaborare – in quanto ciò è finalizzato all’adempimento di un dovere inderogabile di solidarietà (cfr Corte costituzionale 2n. 88/2019) – con l’Amministrazione finanziaria esponendosi, quindi, ai relativi controlli.
La dichiarazione ha, infatti, una rilevanza procedimentale, poiché consente all’Agenzia delle entrate, innanzitutto, di attivare i controlli automatizzati e formali, di cui, rispettivamente, agli articoli 36-bis e 36-ter del Dpr n. 600/1973, condiziona poi l’accertamento e determina, in particolare, i metodi di rettifica del reddito dichiarato.

In tal modo, spiega la Consulta, la presentazione della dichiarazione agevola le attività del Fisco, che dovrà invece ricorrere ad altri e più impegnativi strumenti nei confronti di quei contribuenti che, non assumendo tale atteggiamento collaborativo, presumibilmente sono orientati a sottrarsi totalmente al versamento delle imposte dovute.
In caso di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, infatti, l’Agenzia delle entrate può anche procedere, ai sensi dell’articolo 41 del Dpr n. 600/1973, all’accertamento d’ufficio di carattere induttivo, attività che, tuttavia, implica un impegno ben superiore, in termini di risorse umane, rispetto a quello normalmente richiesto per la effettuazione degli altri controlli e, in particolare, di quelli automatizzati e formali.

Di qui – osserva la Corte – l’esigenza, per il buon funzionamento del sistema tributario, che l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi sia presidiata da una sanzione con un forte effetto deterrente.

Nel caso esaminato, il contribuente ha omesso di presentare la dichiarazione dei redditi relativa al regime fiscale del consolidato, ma, da un lato, ha tempestivamente presentato la propria dichiarazione, in tal modo esponendosi inequivocabilmente ai controlli dell’Agenzia delle entrate, e, dall’altro, ha comunque interamente versato, sebbene in ritardo, ma prima di aver ricevuto qualsivoglia avviso di accertamento, le imposte dovute.
La circostanza che, nonostante il comportamento tenuto, tale contribuente, per effetto dell’applicazione del minimo edittale, debba versare una cifra maggiore dell’imposta già versata – il 120% dell’imposta dovuta – evidenzia, più in generale, che, nella fattispecie sanzionatoria censurata, potrebbe venir meno, in determinate situazioni, un rapporto di congruità tra il concreto disvalore dei fatti e la misura della sanzione.
Secondo la Consulta, pertanto, è possibile una lettura sistematica della norma censurata in correlazione con un’interpretazione conforme a Costituzione dell’articolo 7 del Dlgs n. 472/1997, alla luce del richiamo all’evoluzione del sistema sanzionatorio tributario. Quest’ultimo, infatti, sin dalla legge n. 4/1929, prevede due differenti modelli sanzionatori per la repressione dell’illecito fiscale, distinguendo tra le violazioni che danno luogo a reati e quelle che generano obbligazioni di “carattere civile” (l’antecedente storico delle sanzioni amministrative): la pena pecuniaria, che aveva carattere afflittivo, e la soprattassa, a carattere retributivo e risarcitorio (articoli 3 e 5).
Successivamente, in attuazione della legge n. 662/1996, sono stati emanati i Dlgs n. 471, n. 472 e n. 473/1997: in particolare, il nuovo modello di sanzione amministrativa pecuniaria, emerso da tale riforma, ha mutuato la propria disciplina dal diritto punitivo, come dimostra, ad esempio, l’introduzione del principio della intrasmissibilità delle sanzioni agli eredi, e quello della retroattività della normativa successiva più favorevole.

Nell’ambito di questa evoluzione, continua la Consulta, va considerata l’innovazione rappresentata dall’articolo 7 del Dlgs n. 472/1997, secondo cui “nella determinazione della sanzione si ha riguardo alla gravità della violazione desunta anche dalla condotta dell’agente, all’opera da lui svolta per l’eliminazione o l’attenuazione delle conseguenze, nonché alla sua personalità e alle condizioni economiche e sociali”. Il comma 4 della suddetta disposizione, poi, ha contemplato la facoltà di ridurre in modo consistente la misura della sanzione “qualora concorrano eccezionali circostanze che rendano manifesta la sproporzione tra l’entità del tributo cui la violazione si riferisce e la sanzione, questa può essere ridotta fino alla metà del minimo”.

La legge n. 23/2014, nel rivedere il sistema sanzionatorio penale tributario, ha eliminato, nel menzionato articolo 7, comma 4, l’aggettivo “eccezionali”, dinanzi al termine “circostanze”, rendendo, quindi, applicabile in via ordinaria la possibilità di riduzione della sanzione.
Tuttavia, osservano i giudici costituzionali, il criterio di proporzionalità introdotto dal comma 4 dell’articolo 7 Dlgs 472/1997 ha ricevuto una ben limitata applicazione, probabilmente anche a causa di una imprecisa e generica formulazione che, di per sé, legando il giudizio sulla sanzione all’entità del tributo, non appare in grado di fornire un chiaro criterio ermeneutico. Ciò posto, a parere della Corte, la possibilità di ricondurre nell’ambito dei principi di ragionevolezza e di proporzionalità una sanzione come quella comminata dalla norma censurata, passa attraverso un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’articolo 7 richiamato, che va applicata al sistema delle sanzioni tributarie.

Quindi, in ipotesi come quella del giudizio a quo, la risposta sanzionatoria all’omessa presentazione della dichiarazione della società consolidante, non può trascurare di considerare il comportamento del contribuente che, come esposto, da un lato, ha tempestivamente presentato la propria dichiarazione, di fatto rendendosi visibile e facilmente intercettabile dal sistema dei controlli fiscali, e, dall’altro, sebbene con alcuni anni di ritardo rispetto alle scadenze legali, ma, comunque, prima di ricevere gli avvisi di accertamento, ha interamente versato le imposte.
In relazione a simili situazioni, la previsione di una sanzione pari al 120% dell’imposta dovuta, non potrebbe, di per sé, superare il test di proporzionalità.
La frizione, peraltro, si manifesterebbe anche con riguardo al sindacato di ragionevolezza, dal momento che il peso della sanzione potrebbe effettivamente scoraggiare il pur tardivo adempimento.

Il vulnus a tali principi è però evitato – secondo la Corte – considerando, nella determinazione delle sanzioni, le potenzialità offerte dal più volte richiamato articolo 7 che, interpretato in correlazione con l’articolo 3 della Costituzione, può riportare la norma censurata in termini conformi al volto costituzionale del sistema sanzionatorio, consentendo al giudice a quo di ridurla a una misura proporzionata e ragionevole.
Occorre, in definitiva, che il comma 4 non venga letto atomisticamente, ma in rapporto con il comma 1 del medesimo articolo 7: in questi termini, infatti, il perimetro di applicazione del comma 4 viene dilatato, considerando, tra le “circostanze” – non più necessariamente “eccezionali” – che possono determinare la riduzione fino al dimezzamento della sanzione, quanto indicato nel comma 1 di tale articolo e, in particolare, la condotta dell’agente e l’opera da lui svolta per l’eliminazione o l’attenuazione delle conseguenze.

Valorizzato in questi termini, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata, che fornisce maggiore chiarezza ai criteri di determinazione delle sanzioni in esso stabiliti – conclude la Consulta – l’articolo 7 citato si pone come disposizione atta a mitigare l’applicazione di sanzioni, come quella stabilita dalla norma censurata, che, strutturate per garantire un forte effetto deterrente al fine di evitare evasioni anche totali delle imposte, tendono a divenire eccessivamente punitive quando colpiscono contribuenti che invece, come nel caso di specie, tale intento chiaramente non rivelavano.

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