Normativa e prassi

20 Gennaio 2022

Kit per la preparazione di pasti, la vendita sconta l’Iva al 10%

La vendita online di scatole contenenti kit di ingredienti necessari per la preparazione di pasti da parte dei clienti costituisce, ai fini fiscali, una cessione di beni a cui si applica l’aliquota più elevata tra quelle astrattamente applicabili agli ingredienti che compongono la confezione, pari al 10%. Questo il principale chiarimento fornito dall’Agenzia con la risposta n. 35 del 20 gennaio 2022 che, inoltre, spiega che le spese di trasporto delle stesse confezioni vanno trattate fiscalmente in modo autonomo.

Il quesito è posto da una società che già effettua vendite del prodotto in Europa e altre parti del mondo e ora si appresta ad entrare nel mercato italiano. In particolare, l’istante si occupa della predisposizione di scatole/confezioni contenenti kit di ingredienti, già nelle opportune porzioni, necessari per la preparazione di pasti, che i clienti devono cucinare o ultimare seguendo le indicazioni della ricetta, inclusa nel kit.
La società istante acquista gli ingredienti, prepara le confezioni, le commercializza direttamente tramite il proprio sito e si occupa della consegna al domicilio dell’acquirente, che sottoscrive sul sito web della società un servizio in abbonamento per prenotare i pasti preferiti e riceverli nei giorni e agli orari stabiliti.
L’abbonamento può essere modificato, sospeso, cancellato o riattivato da parte del cliente; il prezzo dell’abbonamento si compone dei prezzi delle singole scatole riferito al kit, comprensivo di tutti gli ingredienti, della ricetta e delle istruzioni per la cottura/preparazione finale.
La società non offre servizi ulteriori rispetto a quelli indicati, eccetto il packaging e il trasporto, con addebito di un corrispettivo.
Il dubbio sorge in relazione alla determinazione della base imponibile e all’aliquota Iva da applicare alla scatola, in considerazione del fatto che gli elementi/ingredienti che la compongono potrebbero essere singolarmente assoggettati a diverse aliquote Iva, con l’aliquota massima del 10%, e che tali ingredienti sono variabili (nelle quantità, nel costo di acquisto) a seconda della scatola, anche nell’ambito dello stesso periodo di abbonamento. Non essendo possibile conoscere l’esatta composizione del kit alla data di vendita in abbonamento che precede la preparazione e consegna della scatola, l’istante non può applicare l’aliquota Iva corrispondente al singolo ingrediente che la compone.

Per risolvere l’intrico, l’Agenzia delle entrate, innanzitutto, stabilisce il corretto inquadramento dell’oggetto della richiesta, ai fini della tassazione, operando la distinzione tra “somministrazione di alimenti e bevande” o come mera “fornitura di alimenti e bevande“. In particolare, la “somministrazione” rientra tra le prestazioni di servizi di cui all’articolo 3, comma 2, n. 4) del Dpr n. 633/1972 ed è soggetta all’applicazione dell’aliquota Iva del 10%, come disposto dal n. 121) della Tabella A, Parte III allegata allo stesso decreto, mentre le cessioni di alimenti e bevande sono considerate cessioni di beni ai sensi dell’articolo 2 del “decreto Iva” e scontano l’aliquota Iva applicabile in funzione della tipologia di bene venduto.
Prendendo le mosse dalla definizione dei “servizi di ristorazione o di catering” recata dall’articolo 6 del regolamento di esecuzione Ue n. 282/2011 del Consiglio del 15 marzo 2011, in mancanza di una nozione espressa di “somministrazione di alimenti e bevande“, l’Agenzia conclude che le operazioni effettuate dall’istante non sono qualificabili come somministrazione di alimenti e bevande bensì come cessioni di beni.

Nel caso in questione, la cessione riguarda preparazioni alimentari, consistenti in un misto di ingredienti alimentari già porzionati ma non pronti per il consumo, dovendo a tal fine essere cotti o ultimati dal consumatore. Nella stessa confezione, secondo quanto rappresentato, sono presenti ingredienti assoggettabili ad aliquote Iva diverse (generalmente aliquote ridotte del 4%, 5% o 10%); Alla cessione delle singole confezioni viene applicato un unico corrispettivo (indistinto per aliquote Iva), determinato in modo forfettario, e pagato dal cliente al momento della sottoscrizione dell’abbonamento, sul sito web della società istante.

Passando all’individuazione dell’aliquota da applicare all’operazione in esame, l’Amministrazione richiama la risoluzione n. 142/1999, che, seppur riferita a un settore diverso rispetto a quello riguardante la presente istanza, ha chiarito che in presenza di più operazioni, per le quali sia pattuito un corrispettivo unico, deve aversi riguardo all’aliquota Iva più alta tra quelle previste per i beni/servizi ceduti/resi, a prescindere dall’eventuale prevalenza dei beni/servizi ad aliquota inferiore. A supporto di tale posizione, l’Agenzia ricorda di essersi ulteriormente espressa con la risoluzione n. 111/2004, secondo cui “per un consolidato principio di carattere generale, implicito nell’ordinamento che disciplina l’imposta sul valore aggiunto, se a fronte di prestazioni per le quali sono previste diverse aliquote viene richiesto e fatturato un corrispettivo indistinto prevale in ogni caso l’aliquota maggiore“.
In sostanza, l’operazione in questione deve essere assoggettata ad Iva al 10%, cioè con l’aliquota più elevata tra quelle astrattamente applicabili agli ingredienti che compongono la confezione purché gli ingredienti contenuti nella confezione siano riconducibili ai prodotti tassativamente elencati nella parte II, nella parte II-bis e nella parte III della Tabella A allegata al Dpr n. 633 del 1972.
Riguardo, poi, la presenza di ingredienti per i quali è prevista l’aliquota del 22%, gestiti separatamente rispetto agli altri, le Entrate fanno presente che l’applicazione a tali ingredienti dell’aliquota Iva nella misura del 22% implica la loro corretta individuazione e una distinta fatturazione. Diversamente, la presenza di detti ingredienti nella confezione comporterebbe l’applicazione dell’Iva con aliquota nella misura ordinaria.

Infine, a completamento dei chiarimenti forniti, l’Agenzia si sofferma sul trattamento delle spese di trasporto che, a differenza di quanto proposto dall’istante, non considera accessorio rispetto all’operazione principale di vendita della scatola. In base all’articolo 12 del decreto Iva, spiega l’Agenzia, una cessione di beni o una prestazione di servizi risulta accessoria a un’operazione principale quando integra, completa e rende possibile quest’ultima (cfr. risoluzione n. 337/2008) e, quindi non è sufficiente una generica utilità della prestazione accessoria all’operazione principale, ma occorre che la prestazione accessoria formi un tutt’uno con l’operazione principale. A conferma del proprio orientamento cita la giurisprudenza della Corte di giustizia europea che, nella sentenza 18 gennaio 2018, causa C-463/16, chiarisce che: “Una prestazione è considerata accessoria ad una prestazione principale in particolare quando costituisce per la clientela non già un fine a sé stante, bensì il mezzo per fruire nelle migliori condizioni del servizio principale offerto dal prestatore“. Secondo la Corte di Giustizia, si tratta di un’unica prestazione quando due o più elementi o atti forniti dal soggetto passivo al cliente sono a tal punto strettamente connessi da formare, oggettivamente, una sola prestazione economica indissociabile la cui scomposizione avrebbe carattere artificioso.
Ne consegue che, conclude l’Agenzia, il servizio di trasporto e la cessione della confezione contenente il kit di ingredienti costituiscono prestazioni distinte e vanno trattate fiscalmente in modo autonomo.

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