20 Luglio 2021
Associato e saltuario professore: il reddito per il fisco è personale
Con la risposta n. 489 del 20 luglio 2021, l’Agenzia delle entrate ha chiarito che, nel caso in cui un commercialista, componente di un’associazione professionale, stipuli un contratto di docenza con un ateneo estero, i compensi sono imponibili in capo al contribuente, non rilevando la circostanza, attinente i meri rapporti interni fra le parti, che il professionista debba riversare allo studio detti emolumenti.
L’istante è un contribuente che esercita la professione di dottore commercialista quale socio di uno studio legale, costituito nella forma giuridica di studio associato di assistenza e consulenza, ai sensi della legge n. 1815/1939. Sotto il profilo fiscale, lo studio, in quanto associazione senza personalità giuridica costituita fra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di professioni, è equiparato alla società semplice ai sensi dell’articolo 5, comma 3, lettera c) del Tuir, e i redditi da esso conseguiti sono determinati in capo all’associazione professionale e imputati ai soci indipendentemente dall’effettiva distribuzione, in applicazione del principio di tassazione per trasparenza ed in proporzione alle rispettive quote di partecipazione agli utili.
Il contribuente non dispone di partita Iva e svolge la propria attività professionale esclusivamente a favore dello studio: in particolare, egli è tenuto a riversare nell’associazione professionale tutti i redditi da lui percepiti, compresi quelli derivanti da docenze nelle materie correlate all’attività svolta presso lo studio.
Il contratto di insegnamento e l’imposizione allo studio associato
Il commercialista ha sottoscritto con una università extraeuropea un contratto di docenza della durata di un mese, in relazione al quale gli è stato corrisposto un compenso, unitamente al rimborso parziale delle spese di viaggio. Per percepire il compenso, il contribuente, in ottemperanza al regolamento dell’ateneo in questione, ha dovuto aprire un conto corrente a lui intestato presso lo Stato estero in questione. Egli ha, successivamente, riversato gli emolumenti percepiti allo studio.
A questo punto, il contribuente si rivolge all’Agenzia al fine di ottenere chiarimenti in merito al trattamento fiscale del compenso in questione.
Difatti, a parere del commercialista, l’emolumento non sarebbe a lui imponibile, rimanendo il suo obbligo di riversarlo allo studio.
Il perimetro normativo
L’Amministrazione premette, infatti, che l’articolo 5 Tuir, riguardo la disciplina dei redditi in forma associata, prevede, al comma 3 lett. c), che “le associazioni senza personalità giuridica costituite fra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni sono equiparate alle società semplici…”.
Sussiste, quindi, una sostanziale equiparazione, ai fini delle imposte sui redditi, delle associazioni senza personalità giuridica costituite fra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni alle società semplici, in ragione della presenza dei medesimi elementi costitutivi (esercizio in comune di un’attività produttrice di reddito, volontà contrattuale di dividere gli utili e conferimento di beni e servizi; cfr. risoluzione n. 142/2008).
L’articolo 53 del Tuir, poi, ricomprende nel novero dei redditi di lavoro autonomo derivanti dall’esercizio di arti e professioni anche quelli scaturenti dall’esercizio in forma associata. Il reddito di lavoro autonomo prodotto dallo studio associato, e determinato in applicazione delle disposizioni previste dall’articolo 54 Tuir, va imputato ai singoli associati, quale reddito di partecipazione indipendentemente dalla percezione effettiva, e proporzionalmente alle rispettive quote di partecipazione agli utili (art. 5, comma 1 Tuir) secondo le modalità di ripartizione stabilite nello statuto.
All’associazione è riconosciuta una soggettività passiva ai fini dell’Irap e dell’Iva, in quanto rappresenta un autonomo centro di determinazione del reddito destinato ad essere ripartito tra gli associati ai fini della tassazione.
Nel delineato schema, in sostanza, l’assistenza al contribuente viene svolta dal singolo professionista, mentre la fattura per il compenso viene emessa dallo studio, titolare di un proprio codice fiscale (partita Iva) autonomo rispetto a quello (eventuale) dei singoli professionisti associati. I compensi percepiti dall’associazione a loro volta sono soggetti alla ritenuta d’acconto se corrisposti da un sostituto e le ritenute d’acconto subite dall’associazione vengono attribuite agli associati con lo stesso criterio di ripartizione degli utili.
La risposta dell’Agenzia
L’Agenzia delle entrate non è d’accordo con il contribuente e osserva che le clausole del contratto stipulato con l’università extraeuropea appaiono caratterizzare la prestazione oggetto delle pattuizioni contrattuali in senso spiccatamente personale e riferibile unicamente al professionista, diretto ed unico destinatario del compenso accreditato nel conto corrente aperto dal medesimo nello Stato estero.
In particolare, l’Agenzia sottolinea la personalità delle mansioni di docenza erogate, la rispondenza a determinati standard sottoposti a controllo, la riferibilità delle stesse alla figura del contribuente con cui l’università estera ha sottoscritto direttamente il contratto, nonché l’erogazione diretta del compenso all’istante attraverso l’accredito nel conto corrente aperto nello Stato estero.
Detti elementi, quindi, ostano alla configurazione della docenza quale prestazione resa dallo studio in forma associata e portano, invece, a inquadrare il compenso percepito dal commercialista nell’ambito delle somme “percepite in relazione ad altri rapporti di collaborazione aventi per oggetto la prestazione di attività svolte senza vincolo di subordinazione a favore di un determinato soggetto nel quadro di un rapporto unitario e continuativo“, quali redditi assimilati al lavoro dipendente, assoggettati a tassazione in capo al contribuente secondo le regole proprie di cui all’articolo 52 del Tuir.
L’attribuzione degli emolumenti in questione al contribuente integra il presupposto per l’applicazione dell’Irpef costituito dal possesso dei redditi rientranti nelle categorie di cui all’articolo 6 Tuir: la circostanza che il commercialista debba riversare allo studio detti compensi assume rilievo esclusivamente nei rapporti interni tra l’associato e lo studio professionale di cui è parte.
In conclusione, l’Agenzia ritiene che i richiamati compensi siano imponibili in capo al contribuente e ai fini Irpef quali redditi assimilati al lavoro dipendente, a nulla rilevando gli obblighi di riversamento allo studio.
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