Normativa e prassi

21 Ottobre 2020

Contratti promiscui: la frazione definisce la soglia over 200mila

Un ente pubblico che effettua contratti di appalto “promiscui”, per il calcolo della soglia di affidamenti annui, in relazione all’applicazione della procedura prevista dall’articolo 17-bis del Dlgs n. 241/1997, deve verificare che il rapporto tra l’ammontare dei ricavi e altri proventi relativi all’attività commerciale (numeratore) e quello complessivo di tutti i ricavi e proventi (denominatore), moltiplicato per il costo annuo pattuito per l’affidamento all’impresa del compimento di servizi generali funzionali sia all’attività istituzionale sia a quella commerciale, risulti superiore a 200mila euro. Il rapporto deve essere calcolato in riferimento ai ricavi del periodo d’imposta precedente a quello di inizio di esecuzione del contratto promiscuo. Questo il contenuto della risposta n. 492 del 21 ottobre 2020.
 
L’istante fa presente che con la circolare n. 1/2020 l’Agenzia delle entrate ha escluso dall’applicazione dell’articolo 17-bis del Dlgs n. 241/1997 gli enti non commerciali (tra cui rientra come ente pubblico) per l’attività istituzionale di natura non commerciale svolta, quali  “committenti”, tenuti alle verifiche richieste per il puntuale pagamento, da parte delle controparti contrattuali, delle ritenute effettuate da queste ultime nei confronti dei propri dipendenti.
Come ente pubblico ritiene di essere destinatario della disposizione in merito all’attività commerciale per la quale tiene, ai fini fiscali, un apposito bilancio.
Riguardo ai “contratti promiscui”, l’ente chiede, quindi, come calcolare la soglia di 200mila euro annui richiesta ai fini dell’applicazione dell’articolo 17-bis del Dlgs n. 241/1997.
 
L’Agenzia delle entrate, innanzitutto, richiama l’articolo 17-bis del Dlgs n. 241/1997, introdotto dall’articolo 4 del collegato fiscale Dl n. 124/2019 (vedi articolo “Collegato fiscale – 2: responsabilità divise tra committente e appaltatore”), la cui disciplina trae origine in affidamenti a un’impresa per il compimento di un’opera o più opere o di uno o più servizi di importo complessivo annuo superiore a 200mila euro, e la circolare n. 1/2020 che stabilisce l’applicazione di tale norma ai soggetti passivi residenti ai fini delle imposte sui redditi nel territorio dello Stato, ma non agli enti non commerciali sia pubblici che privati  limitatamente all’attività istituzionale di natura non commerciale svolta (vedi articolo “Ritenute appalti over 200mila: i chiarimenti dell’Agenzia”).
Inoltre, altri aspetti rilevati dall’amministrazione, ai fini dell’applicazione dell’articolo 17-bis, sono che 1) il contratto di appalto, subappalto, affidamento a soggetti consorziati o rapporti negoziali comunque denominati siano “caratterizzati da un prevalente utilizzo di manodopera” e 2) il concetto di “prevalenza” deve fare riferimento al rapporto tra la retribuzione lorda riferita ai soli percettori di reddito di lavoro dipendente e assimilato (numeratore) e il prezzo complessivo dell’opera o dell’opera e del servizio nel caso di contratti misti (denominatore).
 
Per quanto riguarda, invece, l’esclusione dall’applicazione dell’articolo 17-bis, prevista al comma 5, nel caso in cui le imprese appaltatrici o affidatarie o subappaltatrici comunichino al committente che “abbiano eseguito nel corso dei periodi d’imposta cui si riferiscono le dichiarazioni dei redditi presentate nell’ultimo triennio complessivi versamenti registrati nel conto fiscale per un importo non inferiore al 10 per cento dell’ammontare dei ricavi o compensi risultanti dalle dichiarazioni medesime”, la stessa circolare n. 1/2020 ha precisato che per verificare tale requisito occorre fare riferimento al rapporto tra i complessivi versamenti effettuati tramite modello F24 per tributi, contributi e premi assicurativi Inail, al lordo dei crediti compensati, nel corso dei periodi d’imposta cui si riferiscono le dichiarazioni dei redditi presentate nell’ultimo triennio (numeratore) e i ricavi o compensi complessivi risultanti dalle dichiarazioni presentate nel medesimo triennio (denominatore).
Per completare il quadro di riferimento, l’Agenzia richiama l’articolo 144 del Tuir, riguardante la determinazione dei redditi degli enti non commerciali residenti, che al comma 4 stabilisce che “Le spese e gli altri componenti negativi relativi a beni e servizi adibiti promiscuamente all’esercizio di attività commerciali e di altre attività, sono deducibili per la parte del loro importo che corrisponde al rapporto tra l’ammontare dei ricavi e altri proventi che concorrono a formare il reddito d’impresa e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi”.
 
Per i contrati promiscui, come nel caso prospettato dall’istante, per il calcolo della soglia di 200mila euro annui occorrerà verificare che il rapporto tra l’ammontare dei ricavi e altri proventi relativi all’attività commerciale (numeratore) e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi (denominatore), moltiplicato per il costo annuo pattuito per l’affidamento all’impresa del compimento di servizi generali funzionali sia all’attività istituzionale sia a quella commerciale, risulti di importo complessivo superiore a 200mila euro. Tale rapporto va determinato in relazione ai ricavi del periodo d’imposta precedente a quello di inizio di esecuzione del contratto promiscuo.
 
Infine, conclude l’Agenzia, al superamento della soglia determinata come sopra descritto, gli obblighi previsti dall’articolo 17-bis si applicheranno all’intero contratto.

Contratti promiscui: la frazione definisce la soglia over 200mila

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