Giurisprudenza

13 Luglio 2020

Spuntano fatti nuovi e rilevanti: l’accertamento va integrato

La Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 10160 del 28 maggio 2020, ha chiarito quali sono i presupposti in presenza dei quali l’ufficio può legittimamente procedere ad accertamento integrativo, ex articolo 43 del Dpr n. 600/1973.
Nel caso in esame, l’Agenzia delle entrate aveva notificato un avviso di accertamento con il quale contestava al contribuente di non avere dichiarato, come reddito diverso, le somme percepite, a titolo di canoni, dal soggetto al quale aveva concesso in sublocazione una porzione di un immobile a uso professionale.
Avverso l’atto impositivo il contribuente proponeva ricorso eccependo, per quanto di interesse, che le medesime somme erano già state oggetto di precedente accertamento come reddito di fabbricato e rilevava, comunque, di non avere conseguito maggiori redditi, in quanto gli importi percepiti dal sublocatario erano stati riversati al proprietario dell’immobile.

L’Agenzia delle entrate, costituendosi in giudizio, riconosceva che non era dovuta la maggior imposta richiesta con il precedente avviso relativo al reddito da fabbricati e, con successiva memoria, dichiarava di avere provveduto allo sgravio totale delle somme iscritte a ruolo in conseguenza di tale accertamento.
La Commissione tributaria provinciale rigettava il ricorso con sentenza che veniva poi impugnata dal contribuente dinanzi alla Ctr, la quale ne rigettava l’appello. I giudici di secondo grado rilevavano, infatti, che l’ufficio aveva provveduto allo sgravio degli importi iscritti a ruolo in conseguenza del primo accertamento e che il contribuente non aveva prodotto, a supporto della tesi secondo cui le somme in contestazione non costituivano reddito tassabile, copia del modello Unico, dal quale poter verificare se tra i costi deducibili per la determinazione del reddito di lavoro autonomo era stato indicato l’intero canone, come sostenuto dal contribuente, oppure quello al netto della somma corrisposta a titolo di sublocazione.

Il contribuente ricorreva, infine, in Cassazione, deducendo la violazione e falsa applicazione dell’articolo 43 del Dpr. n. 600/1973 e dell’articolo 116, secondo comma, cpc, sottolineando che il reddito derivante dal contratto di sublocazione era già noto all’epoca dell’emissione dell’avviso poi annullato e che gli elementi valutati come “nuovi” dall’ufficio con l’atto impositivo impugnato erano tutti previsti da detto contratto, con la conseguenza che l’Amministrazione aveva proceduto all’emissione di un secondo avviso di accertamento (integrativo) in assenza di elementi di novità.

Secondo la Corte suprema la censura era infondata.
I giudici di legittimità evidenziano, infatti, che la “sopravvenienza di nuovi elementi” richiesti per l’emissione di un accertamento integrativo non può essere interpretata in modo restrittivo quale sopravvenienza di “nuovi elementi reddituali”, laddove l’ampia dizione utilizzata nella disposizione di legge giustifica, comunque, l’emissione di un avviso di accertamento integrativo allorquando l’ufficio, successivamente all’accertamento originario, sia venuto a conoscenza di elementi fattuali, probatoriamente rilevanti, di cui non era a conoscenza al momento dell’emissione dell’originario avviso.
Ciò, sottolinea la Cassazione, comporta che la preclusione prevista dall’articolo 43 del Dpr. n. 600/1973 impone il divieto di emettere un avviso di accertamento integrativo sulla base della semplice rivalutazione o del maggior approfondimento di dati probatori già noti al Fisco o in suo possesso al momento dell’avviso originario (cfr Cassazione, pronuncia n. 26191/2018). Nel caso in esame, invece, evidenzia il Collegio di piazza Cvour, l’ufficio aveva dapprima emesso l’avviso di accertamento con il quale aveva contestato al contribuente un maggior reddito di fabbricati, sul presupposto, errato, che egli fosse percettore di redditi di locazione non dichiarati e, solo successivamente, all’esito dell’esame della documentazione presentata in sede di richiesta di autotutela dallo stesso contribuente al fine di ottenere l’annullamento di detto accertamento, rilevato che le somme venivano dallo stesso percepite a titolo di canoni di sublocazione, aveva, conseguentemente, proceduto al recupero a tassazione come redditi diversi ex articolo 67 del Tuir.
Poiché, dunque, l’amministrazione finanziaria, solo in sede di autotutela era venuta a conoscenza della esistenza del contratto di sublocazione, tale circostanza, per la Corte suprema, rappresentava sicuramente un elemento nuovo sopravvenuto, idoneo a giustificare l’emissione dell’avviso di accertamento integrativo.

Tanto premesso, in ordine allo specifico caso processuale, in termini più generali, giova anche evidenziare quanto segue.
Come ribadito anche dalla Corte (cfr Cassazione, ordinanza n. 13311/2019), solo l’integrazione o la modifica in aumento dell’originario avviso determina una “nuova” pretesa tributaria rispetto a quella originaria, dovendo formalizzarsi nell’adozione di un nuovo avviso di accertamento, che, aggiungendosi o sostituendosi a quello originario, indichi gli elementi di fatto di cui è sopravvenuta la conoscenza, ai sensi dell’articolo 43, comma 3, del Dpr. n. 600/1973. In caso invece di modifica in diminuzione, questa non necessita neppure di forme o motivazioni particolari, in quanto non integra una nuova pretesa tributaria (cfr, Cassazione, pronuncia n. 11699/2016).
Le fattispecie individuabili in tali casi sono, quindi, sostanzialmente tre: l’autotutela integrativa (quale quella del caso in commento), l’autotutela sostitutiva e l’autotutela parziale.
Quanto alle prime due fattispecie, l’articolo 43 richiamato, come visto, riguarda appunto l’autotutela integrativa ed è preordinato alla ripresa a tassazione di elementi reddituali incrementativi del reddito complessivo, non noti al momento dell’esercizio della precedente attività accertatrice.
L’accertamento integrativo non deve essere, peraltro, confuso con l’autotutela sostitutiva, laddove l’avviso di accertamento emesso, con efficacia ex nunc, in sostituzione di uno precedente, viziato da un errore materiale, non costituisce espressione del potere di autotutela integrativa (ex articolo 43, comma 4, Dpr. n. 600/1973), ma, piuttosto, del potere di autotutela sostitutiva, esperibile anche in assenza di sopravvenute conoscenze. E anche tale possibilità, del resto, non è sempre applicabile, dato che, in ogni caso, sussistono i seguenti limiti:

  • la rinnovazione non può avvenire se è già decorso il termine di decadenza dell’azione accertatrice
  • la rinnovazione è altresì preclusa qualora sia intervenuto giudicato di merito.

All’eliminazione del provvedimento erroneamente formato segue dunque, legittimamente, e anzi come atto dovuto, l’adozione del provvedimento ritenuto conforme al precetto normativo, che sostituisce il precedente (Cassazione, ordinanza n. 25024/2016).

In caso, infine, di autotutela solo parziale non rileva neppure il termine decadenziale, intervenendo semplicemente la stessa a riduzione della pretesa già contenuta nell’avviso (tempestivamente) notificato e ciò in attuazione del rapporto di lealtà e collaborazione che deve esistere tra contribuente e Amministrazione (cfr Cassazione, ordinanza n. 13311/2019).

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