Giurisprudenza

18 Giugno 2020

Tra Stati membri è possibile anche un diverso trattamento Iva

L’amministrazione finanziaria ungherese può, unilateralmente, assoggettare alcune operazioni effettuate da una società polacca a un trattamento Iva diverso da quello in forza del quale sono già state oggetto di imposizione nell’altro Stato membro. Nel caso sottoposto all’attenzione della Corte di giustizia Ue, la Polonia (Causa C-276/18 del 18 giugno2020).

La domanda di pronuncia pregiudiziale, all’esame della Corte Ue, verte sull’interpretazione della direttiva 2006/112/Ce sull’Iva, nonché degli articoli 7, 13 e da 28 a 30 del regolamento del Consiglio Ue n. 904/2010, relativo alla cooperazione amministrativa e alla lotta contro le frodi Iva, ed è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone una società di diritto polacco all’amministrazione fiscale ungherese, in ordine al pagamento dell’imposta sulla vendita, tramite il sito web, di prodotti di tale società ad acquirenti residenti in Ungheria. La compagine, stabilita in Polonia, non possiede né uffici né magazzini in Ungheria e per l’amministrazione fiscale ungherese non dispone di una sede di lavoro ai fini Iva.
La sua attività consiste nella vendita di prodotti per animali che commercializza attraverso il suo sito web. Nel corso del 2012 la società offriva agli acquirenti la possibilità di stipulare un contratto con un’altra società di trasporto stabilita in Polonia, ai fini dell’invio dei prodotti commercializzati, senza essere essa stessa parte di questo contratto.
Successivamente, ha avuto luogo una controversia approdata dinanzi alla competente autorità giurisdizionale. In particolare il giudice del rinvio si è interrogato sulla possibilità per l’amministrazione finanziaria ungherese, alla luce del principio di neutralità fiscale e dell’obiettivo diretto a evitare la doppia imposizione, di adottare una posizione diversa da quella dell’amministrazione finanziaria polacca.
Sono state, pertanto, sottoposte al vaglio pregiudiziale della Corte Ue, tra le altre, alcune questioni, con cui il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 2006/112 nonché gli articoli 7, 13 e da 28 a 30 del regolamento Ue n. 904/2010, debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a che l’amministrazione finanziaria di uno Stato membro possa, unilateralmente, assoggettare alcune operazioni a un trattamento fiscale Iva diverso da quello in forza del quale sono già state oggetto di imposizione in un altro Stato membro.

Le valutazioni della Corte Ue
La Corte osserva, innanzitutto, che il titolo V della direttiva 2006/112 contiene le disposizioni relative alla determinazione del luogo delle operazioni imponibili, disposizioni che hanno l’obiettivo di evitare i conflitti di competenza che possono portare sia a situazioni di doppia imposizione sia alla mancata imposizione di cespiti.
Al riguardo, il regolamento n. 904/2010 ha lo scopo, tramite l’istituzione di un sistema comune di cooperazione tra gli Stati membri, in particolare per quanto riguarda lo scambio di informazioni, di assicurare l’accertamento corretto dell’Iva, in particolare per quanto riguarda le attività che si svolgono sul territorio di uno di essi, ma di cui è dovuta l’Iva in un altro Stato membro.
Ebbene, l’applicazione corretta dell’Iva nelle operazioni transfrontaliere imponibili in uno Stato membro diverso da quello in cui è stabilito il prestatore o il fornitore dipende, spesso, da informazioni che sono detenute dallo Stato membro di stabilimento o che possono essere ottenute molto più facilmente da quest’ultimo.
Pertanto, il regolamento stabilisce le condizioni secondo le quali le autorità competenti degli Stati membri, preposte all’applicazione della legislazione sull’Iva, devono collaborare tra loro e con la Commissione, allo scopo di assicurare l’osservanza delle regole e, a tal fine, definisce norme e procedure che consentono alle autorità competenti degli Stati membri di collaborare e di scambiare tra loro ogni informazione che possa consentire di accertare correttamente l’Iva, di verificarne la corretta applicazione, in particolare sulle transazioni intracomunitarie, e di lottare contro la frode all’Iva.
A tal proposito, gli articoli 7 e 13 del regolamento n. 904/2010 riguardano lo scambio di informazioni tra le autorità competenti degli Stati membri, con o senza richiesta di una di esse.
L’articolo 28 si occupa della questione della presenza degli agenti autorizzati dall’autorità richiedente negli uffici amministrativi dello Stato membro interpellato e della loro partecipazione alle indagini amministrative effettuate sul territorio di tale Stato membro.
Inoltre, gli articoli 29 e 30 vertono sui controlli simultanei ai quali gli Stati membri possono convenire di procedere.
Il regolamento n. 904/2010 consente, quindi, l’istituzione di un sistema comune di cooperazione mediante il quale l’amministrazione tributaria di uno Stato membro può presentare una richiesta all’autorità tributaria di un altro Stato membro, in particolare qualora, in base al dovere di cooperare per assicurare l’accertamento corretto dell’Iva, una tale richiesta può essere opportuna, se non necessaria..
Ciò può accadere, in particolare, quando l’amministrazione tributaria di uno Stato membro sa che l’amministrazione tributaria dell’altro Stato dispone di informazioni che siano utili, se non indispensabili, per accertare se l’Iva sia esigibile nel primo Stato membro.
Tuttavia, il regolamento n. 904/2010 si limita a consentire una cooperazione amministrativa tra le autorità finanziarie degli Stati membri, ma non disciplina la competenza di tali autorità a procedere, alla luce delle informazioni ottenute, alla qualificazione delle operazioni interessate, in considerazione della direttiva n. 2006/11.
Ne consegue, che il regolamento non stabilisce né un obbligo che imponga alle amministrazioni finanziarie di due Stati membri di cooperare al fine di pervenire a una soluzione comune quanto al trattamento Iva di un’operazione, né un requisito in forza del quale le autorità finanziarie di uno Stato membro sarebbero vincolate dalla qualificazione attribuita a tale operazione dall’amministrazione finanziaria di un altro Stato membro.

Del resto, l’applicazione corretta della direttiva 2006/112 consente di evitare la doppia imposizione e di garantire la neutralità fiscale
Pertanto, l’esistenza, in uno o più Stati membri, di approcci diversi da quello vigente nello Stato membro considerato non può, in ogni caso, portare a un’applicazione erronea delle disposizioni di tale direttiva.
Quando accertano che una stessa operazione è oggetto di un trattamento fiscale differente in un altro Stato membro, i giudici investiti di una controversia, che solleva questioni sull’interpretazione delle disposizioni del diritto comunitario e che esiga una pronuncia da parte loro, hanno la facoltà, o addirittura l’obbligo, a seconda che le loro decisioni possano o meno essere oggetto di ricorso giurisdizionale di diritto interno, di sottoporre alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale.
Ciò posto, laddove risulti a seguito di una decisione della Corte che decide in via pregiudiziale, che l’Iva è già stata indebitamente versata in uno Stato membro, in base a costante giurisprudenza comunitaria, il diritto a ottenere il rimborso delle imposte riscosse da uno Stato membro in violazione di norme del diritto comunitario, costituisce la conseguenza dei diritti attribuiti ai singoli dalle disposizioni del diritto dell’Unione.
Lo Stato membro interessato è quindi tenuto, in linea di principio, a rimborsare i tributi riscossi in violazione del diritto comunitario.
La domanda di rimborso dell’Iva indebitamente versata rientra nell’ambito del diritto alla ripetizione dell’indebito, il quale, secondo costante giurisprudenza, è inteso a rimediare alle conseguenze dell’incompatibilità dell’imposta con il diritto comunitario, neutralizzando l’onere economico che ha indebitamente gravato l’operatore che l’ha effettivamente sopportata.

Le conclusioni della Corte Ue
Tutto ciò premesso, la Corte di giustizia Ue perviene alla conclusione che la direttiva 2006/112 nonché gli articoli 7, 13 e da 28 a 30 del regolamento n. 904/2010 devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a che l’amministrazione finanziaria di uno Stato membro possa, unilateralmente, assoggettare alcune operazioni a un trattamento Iva diverso da quello, in forza del quale, sono già state oggetto di imposizione in un altro Stato membro.

Data sentenza
18 giugno 2020

Numero della causa
C-276/18

Nome delle parti
KrakVet Marek Batko sp.k.
contro
Nemzeti Adó- és Vámhivatal Fellebbviteli Igazgatósága,

Tra Stati membri è possibile anche un diverso trattamento Iva

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