Giurisprudenza

17 Giugno 2020

Sottocosto nel mercato delle auto: per “esperienza” è indizio di frode

La sussistenza di indizi, che consentano di sospettare l’esistenza di irregolarità o di evasioni nella sfera dell’emittente delle fatture, deve indurre l’operatore avveduto ad assumere informazioni sul soggetto dal quale intenda acquistare beni o servizi. In particolare, non può essere svalutato l’elemento indiziario costituito dall’acquisto sottocosto, dovendosi considerare che la vendita sottocosto costituisce elemento sintomatico di una possibile frode, che, a prescindere dall’entità della percentuale applicata dal venditore, deve insospettire l’acquirente. 

La Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 8538 del 6 maggio 2020, ha chiarito quale è il valore probatorio di una vendita sottocosto, al fine del legittimo sospetto, da parte dell’acquirente, di partecipare a una possibile frode.
Nel caso in esame, nell’ambito di una controversia relativa all’impugnazione di un avviso di accertamento per il recupero a tassazione di costi relativi a operazioni inesistenti, la Commissione tributaria regionale accoglieva l’appello dei contribuenti, ritenendo che l’Agenzia delle entrate non avesse adempiuto l’onere probatorio circa la consapevolezza della società di partecipare a una frode, sostenendo che un “sottocosto del 6,54% e del 9,75%” era “troppo modesto per autorizzare nel cessionario il sospetto di una frode”.
 
Avverso tale statuizione l’Amministrazione finanziaria proponeva ricorso per cassazione, deducendo la violazione degli articoli 19, 21, comma 7, del Dpr. n. 633/1972, e. 2697, 2727 e 2729, del codice civile, e sostenendo che la Ctr aveva errato a ritenere l’insussistenza dei requisiti richiesti dalla giurisprudenza in materia di soggettiva inesistenza delle operazioni commerciali contestate.
 
Secondo la suprema Corte la censura è fondata.
Evidenziano, infatti, i giudici di legittimità che, richiamando l’insegnamento della Corte di giustizia Ue (sentenza 21 giugno 2012 nelle cause riunite C-80/11 e C-142/11 – Mahagében Kft e Péter Dàvid), è vero che l’Amministrazione deve dimostrare, alla luce di elementi oggettivi, che il soggetto passivo interessato sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva in un’evasione, laddove però, proprio sulla base di tale principio, la Cassazione (cfr ordinanza n. 5873/2019) ha affermato che non può revocarsi in dubbio che tale prova possa essere fornita anche mediante presunzioni ed elementi indiziari.
I supremi giudici, anzi, rimarcano che la stessa Corte comunitaria mostra di valorizzare appieno la prova indiziaria o presuntiva, laddove afferma che la sussistenza di “indizi”, che consentano di sospettare l’esistenza di irregolarità o di evasioni nella sfera dell’emittente delle fatture, deve indurre l’operatore avveduto ad assumere informazioni sul soggetto dal quale intenda acquistare beni o servizi. E, in difetto di ciò, il diritto del medesimo alla detrazione di imposta non potrà che essere escluso.
 
La sentenza impugnata non si era, quindi, uniformata a tali principi, in quanto, da un lato, aveva svalutato ingiustificatamente l’elemento indiziario costituito dall’acquisto sottocosto delle autovetture, facendone discendere la mancanza di prova della conoscibilità da parte della società contribuente che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si inscriveva in un’evasione o in una frode, e, sostanzialmente, pretendendo che l’Amministrazione offrisse una prova certa e incontrovertibile, invece non richiesta.
E, dall’altro, non aveva valutato in alcun modo gli elementi della fattispecie, al fine di verificare se ricorressero o meno gli indizi che avrebbero dovuto rendere edotta la contribuente, con la diligenza media richiesta a un imprenditore onesto che opera sul mercato, della possibilità di stare partecipando a una frode ai danni dell’Erario.

A tale riguardo, sottolinea ancora la Cassazione, si doveva del resto considerare che la vendita di autovetture sottocosto costituisce un chiaro elemento sintomatico di una possibile frode erariale, che, a prescindere dall’entità della percentuale applicata dal venditore, avrebbe pertanto dovuto insospettire l’acquirente e indurlo ad accertarsi della regolarità dell’operazione commerciale.
Accertamento che, nel caso in argomento, era ancor più doveroso, in considerazione del fatto che le due società venditrici erano state costituite solo pochi mesi prima del compimento di quelle operazioni.
Tutti tali elementi erano stati erroneamente svalutati e, addirittura, nemmeno considerati dai giudici di appello, che avrebbero dovuto invece ritenerli sintomatici dell’inesistenza delle operazioni commerciali accertate, ponendo a carico della società contribuente e dei suoi soci l’onere di provarne l’effettività.
 
A prescindere dallo specifico caso processuale, in via generale, possiamo comunque osservare che, in presenza di indizi ed elementi quali quelli descritti anche nella fattispecie sopra indicata, è in ogni caso compito del contribuente dimostrare di non essere stato in grado di conoscere il carattere fraudolento delle operazioni, non essendo a tal fine sufficiente limitarsi a dedurre che la merce è stata consegnata e rivenduta e che la fattura è stata effettivamente pagata, circostanze queste sempre presenti in una frode fiscale perpetrata mediante un’operazione soggettivamente inesistente.
Facendo uso della comune diligenza, che si raccomanda a un operatore professionale del settore mediamente avveduto, il contribuente deve quindi verificare (provandola) la regolarità sostanziale dell’operazione e non soltanto la regolarità formale della fattura (cfr Cassazione, n. 13803/2014).

Ai fini Iva, inoltre, si ricorda che il cessionario è anche solidalmente responsabile con il cedente, ai sensi dell’articolo 60-bis del Dpr n. 633/1972, qualora la cessione, avente a oggetto beni specificatamente individuati, sia stata effettuata a un prezzo inferiore al valore normale degli stessi e il cedente non abbia poi versato l’imposta relativa alla cessione effettuata.
E, a tal fine, è sufficiente l’obiettiva divaricazione fra il prezzo sostenuto e quello di mercato, ferma la possibilità, per lo stesso cessionario, di dimostrare la “plausibilità” del prezzo corrisposto (Cassazione, ordinanza. n. 7082/2020, anche questa relativa a una vendita sottocosto di autoveicoli).

In un simile, complesso scenario di responsabilità (e proprio per impedire facili “giustificazioni” di presunta buona fede) la disciplina ex articolo 60-bis citato è stata del resto introdotta proprio per responsabilizzare la posizione di ciascuno dei partecipanti alla frode, prevedendo appunto un meccanismo della responsabilità in solido in caso di cessioni aventi per oggetto beni rispetto ai quali, evidentemente, l’esperienza ha già insegnato esserci un forte sospetto e “rischio frode”.

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