Giurisprudenza

8 Giugno 2020

Anche se le parti conciliano, c’è illecito per omesso versamento

La sospensione giudiziale non produce alcun effetto sostanziale sulla pretesa sanzionatoria e sulla riscossione. Si tratta di un provvedimento di natura cautelare, ad effetti solo interinali in quanto meramente strumentali alla decisione da adottare, destinati a cessare con la pronuncia di merito. Questo il principio sancito dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 8076 del 23 aprile 2020.

La vicenda esaminata
Nella pronuncia in commento la Corte di cassazione ha confermato la sanzionabilità dell’omesso versamento, entro il termine per la proposizione del ricorso, delle imposte ipotecaria e catastale accertate con un avviso di liquidazione relativo a una compravendita immobiliare.
A quanto si apprende dalla sintetica esposizione del fatto, la Commissione regionale del Veneto aveva ritenuto corretta una decisione di primo grado che, pur prendendo atto della conciliazione tra le parti e così dichiarando cessata la materia del contendere, aveva escluso la sanzione del 30 per cento per il ritardato o omesso versamento dell’imposta.
In particolare, secondo entrambe le sentenze di merito, non ricorrevano i presupposti dell’illecito contestato perché prima della conciliazione la Ctp aveva sospeso l’esecutività dell’atto, con un provvedimento al quale doveva attribuirsi efficacia retroattiva.

I motivi del contendere e la decisione della Corte
Con i due principali motivi di ricorso l’Agenzia delle entrate ha lamentato la violazione dell’articolo 47 del Dlgs n. 546/92, in tema di sospensione cautelare, e dell’articolo 13, del Dlgs n. 471/97, in tema di sanzione per omesso o ritardato versamento; la Corte li ha accolti entrambi con decisione nel merito, dichiarando dovute le sanzioni come da accordo di conciliazione.
Sotto il profilo sostanziale, la Cassazione ricorda che, in tema di imposta di registro, gli articoli 54, comma 5, e 55, comma 1, del Dpr n. 131/86 (richiamati, quanto alle imposte ipotecaria e catastale, come tutte le norme in tema di procedimento e sanzioni, dall’articolo 13 del Dlgs n. 347/90) prevedono il pagamento dell’imposta liquidata, o accertata, entro 60 giorni dalla notificazione del provvedimento.
Completando la revisione del sistema sanzionatorio di cui ai decreti legislativi 471 e 472 del 18 dicembre 1997, con il Dlgs n. 473/97 è stato abrogato l’articolo 70 del Dpr n. 131/86, che prevedeva la sanzione (allora, del 20 per cento), per l’omesso versamento.
La disposizione di riferimento è divenuta, così, quella “generale” dell’articolo 13, Dlgs n. 491/97 che, come è riportato nelle avvertenze degli avvisi di liquidazione, prevede l’irrogazione di una sanzione pari al 30 per cento delle imposte dovute, in caso di mancato pagamento entro i 60 giorni dalla notifica dell’avviso; e questo, va sottolineato, indipendentemente dalla proposizione del ricorso (salvo che, naturalmente, lo stesso non sia accolto).

Stabilito che la sanzione era stata correttamente irrogata, la Corte ha affrontato il tema degli effetti della pronuncia cautelare: secondo le Commissioni di merito, l’ordinanza con cui era stata sospesa l’esecutività dell’avviso di liquidazione avrebbe “travolto” la sanzione, rendendola illegittima.
Di diverso parere la Cassazione, secondo cui la sospensione non spiega alcun effetto sostanziale sulla pretesa sanzionatoria (e, si potrebbe aggiungere, nemmeno sulla riscossione, posto che essa inizia dopo la sentenza di primo grado, a norma dell’articolo 68, Dlgs n. 546/92).
Attraverso ampi richiami di giurisprudenza, anche delle sezioni penali e della Corte costituzionale, la Cassazione ha ricordato che la sospensione giudiziale è un provvedimento “di natura cautelare, ad effetti (solo) interinali in quanto meramente strumentali alla decisione da adottare”, “destinati a cessare con la pronuncia di merito” come espressamente prevede l’articolo 47, comma 7, Dlgs n. 546/92, “e che, ad ogni modo, si risolvono sul (solo) piano dell’esecuzione dell’atto impugnato, senz’alcuna implicazione, per la contraddizione logica che non lo consente, sulla pretesa in contestazione”.

Brevi osservazioni
La decisione della Corte, nella parte in cui riconduce l’ordinanza di sospensione cautelare alla sua funzione interinale, provvisoria, mai destinata a consolidarsi nemmeno in caso di estinzione del giudizio e comunque non impugnabile (articoli 47, comma 4, e 52, comma 5, per l’appello, del Dlgs n. 546/92), è sicuramente condivisibile.
La tesi dei giudici di merito rivela inoltre una contraddittorietà di fondo, in quanto non si vede come l’ordinanza possa far venir meno la sanzione, ma non anche le imposte. In realtà, finché le somme (imposte, sanzioni e interessi) sono in contestazione, le parti sono libere di conciliare; se così non fosse, l’accoglimento del ricorso non renderebbe mai possibile la conciliazione in appello, che invece l’articolo 48 del Dlgs n. 546/92 prevede senza alcuna limitazione.

Vi è poi un altro profilo da sottolineare, sebbene non dedotto dall’Agenzia e non trattato dalla Cassazione, che concerne il sindacato del giudice circa le condizioni della conciliazione.
Con la sentenza n. 433 del 2000 la Corte costituzionale, nel respingere la questione di costituzionalità del citato articolo 48 nella parte in cui non consente il “giudizio sulla congruità delle imposte da versare su cui l’Ufficio e il contribuente si sono accordati”, affermò che al giudice è affidato, “in vista di una più rapida definizione delle controversie tributarie, il compito di accertare se la conciliazione era ammissibile, se rientrava nei casi consentiti e se la relativa procedura è stata correttamente espletata”, e quindi un “mero controllo di legittimità”.
Da ciò in dottrina si trae il principio che il controllo sull’accordo (liberamente e discrezionalmente) concluso tra le parti è di tipo soltanto estrinseco (motivo per il quale non si dovrebbe ammettere la conciliazione a fronte di un ricorso palesemente tardivo), ma non potrebbe mai spingersi fino a valutarne l’opportunità nel merito e – come nel caso di specie – ad “escluderne” una componente.

Anche se le parti conciliano, c’è illecito per omesso versamento

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