1 Giugno 2020
Bonus interdetto, se le “prime case” insieme sforano i limiti del lusso
Non spettano i benefici “prima casa” ai contribuenti che acquistano un’unica unità immobiliare costituita da due appartamenti, aventi una superficie utile complessiva maggiore di 240 metri quadrati. Lo ha affermato la Cassazione nell’ordinanza n. 7850 del 16 aprile.
I fatti
Con avviso di rettifica e liquidazione dell’imposta di registro, l’Agenzia dell’entrate revocava a due contribuenti, parte acquirente di una porzione immobiliare, le agevolazioni “prima casa”, previste dall’articolo 1 della tariffa, parte prima, allegata al Tur (Dpr n. 131/1986), avendone indebitamente usufruito in quanto l’immobile di cui erano divenuti proprietari doveva essere considerato di lusso perché avente superficie utile superiore a 240 metri quadrati, accertata sulla base di una relazione dell’Agenzia del territorio.
Da quest’ultima emergeva che la superficie dell’immobile acquistato era superiore al limite previsto dall’articolo 6, del Dm n. 1072/1969, per fruire delle agevolazioni richieste.
I contribuenti hanno impugnato l’avviso di recupero prima e, poi, la sentenza di primo grado che ha rigettato il ricorso. Anche la Commissione tributaria regionale del Lazio ha respinto l’appello dei contribuenti, fondando la decisione sulla circostanza che l’unità immobiliare oggetto del contratto stipulato il 29 maggio 2006 era unica, anche se si sviluppava su due piani, ciascuno dei quali di 240 mq di superficie, con la conseguenza che la somma di entrambe le superfici era superiore al parametro indicato per le (singole) unità immobiliari dal richiamato Dm.
I contribuenti, quindi, hanno proposto ricorso per cassazione, lamentando:
– violazione e falsa applicazione degli articoli 52 del Tur, 2697 del codice civile e 6 del Dm n. 1072/1969. I giudici di merito, cioè, avevano errato nel ritenere come unico l’immobile oggetto di compravendita, poiché avrebbero dovuto piuttosto considerarlo composto da due distinti appartamenti, posti su due piani diversi e, quindi, autonomi, con la conseguenza che, non potendo sommarsi la loro superficie, le agevolazioni non dovevano essere revocate. A sostegno di tale assunto, i contribuenti affermavano che tale autonomia risultava evidente dal certificato catastale e dall’attivazione di due diverse utenze domestiche di luce e gas
– omessa motivazione in ordine all’onere probatorio a carico dell’Amministrazione finanziaria, quale fatto decisivo per la decisione della controversia, poiché i giudici di merito si erano limitati ad affermare la legittimità dell’avviso di liquidazione fondato “su di un parere espresso nel merito dall’Agenzia del Territorio competente”, non idoneo ad assurgere a elemento probatorio sul quale fondare la pretesa tributaria
– violazione degli articoli 42, 55 e 76 del Tur, in quanto l’avviso di liquidazione era stato notificato oltre il termine di decadenza di due anni dalla registrazione dell’atto notarile.
Il giudizio
La Cassazione ha rigettato il ricorso e ha affermato che, secondo l’ex articolo 42, comma 1, del Tur, “l’imposta di registro liquidata dall’ufficio a seguito dell’accertata insussistenza dei presupposti del trattamento agevolato in relazione all’acquisto della ‘prima casa’, applicato al momento della registrazione dell’atto di trasferimento della proprietà di un bene immobile (nella specie, la natura di abitazione non di lusso dell’immobile trasferito), va qualificata come imposta ‘complementare’…” (Cassazione, ordinanza n. 7850/2020).
Osservazioni
I giudici di piazza Cavour hanno esaminato le questioni concernenti la legittimità del recupero dell’imposta per osservanza del termine di decadenza, la possibilità di eccepire il vizio di omessa motivazione della sentenza impugnata con riferimento all’onere della prova a carico dell’ufficio, l’applicazione del limite di 240 metri quadrati all’unica unità immobiliare anche se composta da più unità abitative.
In particolare, la Corte ha chiarito che l’imposta liquidata nel caso in esame è “complementare” poiché “…non rientra nelle altre specie, positivamente definite, dell’imposta di registro “principale” (in quanto applicata in un momento successivo alla registrazione) e dell’imposta ‘suppletiva ’(in quanto, rivedendo ‘a posteriori’ il criterio di liquidazione già adottato, non è rivolta ad emendare errori od omissioni commessi dall’ufficio in sede di registrazione)…”.
Dall’individuazione della “specie” dell’imposta, la Cassazione ha affermato la legittimità della pretesa tributaria, fatta valere dall’ufficio, ex articolo 76, comma 2, Tur, con apposito atto di imposizione, nel termine di decadenza di tre anni, decorrenti (ex articolo 2964 cc) dalla data della registrazione (cfr Cassazione, nn. 3360 e 2400 del 2017).
Passando, poi, all’esame del motivo di ricorso relativo al difetto di motivazione, la Corte lo ha dichiarato in parte inammissibile e in parte infondato. I giudici di legittimità, infatti, hanno affermato che non poteva essere censurata la motivazione della sentenza di secondo grado, poiché la Ctr aveva sostenuto la legittimità dell’avviso di liquidazione in quanto basato sul parere dell’Agenzia del territorio e, quindi, la censura proposta dai ricorrenti mirava solo a richiedere una nuova valutazione del compendio probatorio posto a fondamento della decisione impugnata. Da una parte, infatti, l’avviso, indicando che l’immobile era “da considerarsi di lusso, (…) ai sensi della normativa prevista dal D.M. 2 agosto 1969 per effetto di quanto disposto dall’art. 6…”, come indicato dalla nota dell’Agenzia del territorio del 28 novembre 2008 allegata, soddisfaceva pienamente l’obbligo motivazionale invocato dai contribuenti. Dall’altra, la pronuncia della Commissione regionale non poteva essere censurata ex articolo 360, comma 1, n. 5, cpc, in quanto l’impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado per vizio di motivazione è (ora) limitata alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, non essendo consentito criticare la sentenza per la sufficienza delle argomentazioni poste a giustificazione della decisione adottata sulla base di determinati elementi fattuali, ritenuti dal giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi (Cassazione, sezioni unite, n. 8053/2014).
Infine, anche la contestazione sollevata con riferimento alla revoca del trattamento agevolato è stata respinta. La Corte, infatti, ha giudicato corretta l’applicazione dei criteri dettati dal Dm del 1969, utilizzati dall’ufficio al fine di stabilire se l’abitazione oggetto di compravendita era di lusso.
In particolare, l’articolo 6 del Dm n. 1072/1969, che si riferisce alle (singole) “unità immobiliari”, stabilisce che la sussistenza della superficie di una “singola unità immobiliare” che sia superiore a 240 metri quadrati (calcolata secondo le indicazioni contenute nel decreto stesso) è condizione sufficiente perché l’abitazione possa definirsi “di lusso”.
Al riguardo la Cassazione ha chiarito che la disposizione dell’articolo 6, (sono abitazioni di lusso “le singole unità immobiliari aventi superficie utile complessiva superiore a mq. 240 – esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine”) deve essere letta in combinato disposto con l’articolo 40 del Dpr n. 1142/1949 (“si accerta come distinta unità immobiliare urbana ogni fabbricato, o porzione di fabbricato od insieme di fabbricati che appartenga allo stesso proprietario e che, nello stato in cui si trova, rappresenta, secondo l’uso locale, un cespite indipendente”). La lettura delle disposizioni richiamate è volta a evitare l’errore interpretativo, nel quale sono incorsi i contribuenti che avevano confuso il concetto di unità immobiliare, rilevante ai fini dell’applicazione dell’agevolazione “prima casa”, con quello di unità abitativa.
Ai fini tributari, infatti, devono essere considerati abitazioni di lusso gli immobili che hanno una superficie utile complessiva maggiore di 240 metri quadrati, a prescindere sia dalla circostanza che si tratti di appartamenti compresi in fabbricati condominiali ovvero di singole unità abitative (Cassazione, nn. 23591/2012 e 7769/2020), sia della specifica rilevanza della destinazione che l’acquirente o gli acquirenti attribuiscono all’immobile (Cassazione, n. 7457/2016).
Nella fattispecie esaminata, la Cassazione ha concluso per la legittimità della revoca dei benefici fiscali poiché la Commissione regionale aveva posto bene in luce l’unicità del bene, risultando dal rogito che l’unità immobiliare oggetto di trasferimento era unica ed era contraddistinta da “una porzione immobiliare (…) costituita da un fabbricato per due unità abitative sviluppatesi ai piani terra e primo …”.
Alle stesse conclusioni la Corte era pervenuta per l’acquisto “pro indiviso”, da parte di due acquirenti, di un villino di due piani, con locale autorimessa e terreno pertinenziale: anche in tale fattispecie, per i giudici di legittimità, non sarebbe stato legittimo consentire il frazionamento della superficie utile tra i comproprietari, imputando a ciascuno un piano dello stabile, poiché il rogito notarile non riguardava due autonome alienazioni, ostandovi la contitolarità indivisa dei diritti sul bene e la facoltà, per ciascun comunista, di usare il bene comune, ex articolo 1102 cc (Cassazione, n. 7457/2016).
L’orientamento di legittimità è in linea con i chiarimenti forniti dall’Agenzia delle entrate (risoluzione ministeriale n. 25/E/1995 e circolare n. 38/2006) sia per l’ampliamento dell’unità immobiliare già acquistata come “prima casa” mediante l’acquisto di una stanza contigua, sia per l’acquisto contemporaneo di due appartamenti contigui, sia infine per l’acquisto successivo di immobile contiguo alla casa di abitazione che già possiede le qualità di bene “non di lusso”: gli aventi causa possono continuare a usufruire dell’agevolazione “prima casa” a condizione che, anche dopo la riunione degli immobili, non venga meno il requisito di bene “non di lusso” e cioè “purché l’alloggio così complessivamente realizzato rientri, per la superficie, per il numero dei vani e per le altre caratteristiche (…) nella tipologia degli alloggi ‘non di lusso’” (Cassazione, nn. 29643/2019 e 563/1998).
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