27 Maggio 2020
Modifica del magazzino in abitazioni, ne consegue un reddito di impresa
La trasformazione di un magazzino in tre abitazioni da parte del proprietario è un’operazione finalizzata non al proprio uso o a quello della propria famiglia ma alla vendita a terzi e deve considerarsi attività imprenditoriale. Di conseguenza, il reddito generato dalla successiva vendita delle unità immobiliari deve essere considerato imponibile quale reddito rientrante nella categoria dei redditi d’impresa. Questo il principale chiarimento fornito dall’Agenzia delle entrate con la risposta n. 152/E del 27 maggio 2020.
La proprietaria di un’unità immobiliare (categoria catastale C/2) intende, previa autorizzazione da parte dei competenti uffici, cambiarne la destinazione d’uso e suddividerla in tre unità immobiliari (categoria catastale A/3) e poi vendere le abitazioni, definendo nel contratto che le necessarie opere di ristrutturazione e risanamento conservativo siano a totale carico dei potenziali acquirenti.
La signora chiede se gli atti di compravendita dei tre immobili possano prefigurare una attività imprenditoriale e, in caso negativo, se generano una plusvalenza imponibile. A suo parere no, in quanto per il cambiamento della destinazione urbanistica dell’immobile non occorrono “interventi di risanamento conservativo e di ristrutturazione edilizia di rilevanza economica, ma solo i necessari interventi strutturali atti a consentire l’ottenimento del mutamento di destinazione d’uso e il conseguente accatastamento”.
L’Agenzia delle entrate per argomentare i propri chiarimenti parte dalla definizione dell’articolo 67, comma 1 lett. b), del Tuir che prevede che sono redditi diversi se non costituiscono redditi di capitale ovvero se non sono conseguiti nell’esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente: “le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni, esclusi quelli acquisiti per successione e le unità immobiliari urbane che per la maggior parte del periodo intercorso tra l’acquisto o la costruzione e la cessione sono state adibite ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari, nonché, in ogni caso, le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione“.
Ne consegue che presupposto per la tassazione della plusvalenza nell’ambito dei redditi diversi è che l’attività messa in atto dalla persona fisica non configuri l’esercizio di impresa commerciale, ai sensi dell’articolo 55 del Tuir che, al comma 1, dispone che “sono redditi d’impresa quelli che derivano dall’esercizio di imprese commerciali. Per esercizio di imprese commerciali si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività indicate nell’art. 2195 c.c., e delle attività indicate alle lettere b) e c) del comma 2 dell’art. 32 che eccedono i limiti ivi stabiliti, anche se non organizzate in forma d’impresa“.
Quindi, perché si configuri l’attività commerciale, ai fini del reddito d’impresa, occorre che l’attività svolta sia caratterizzata dalla professionalità “abituale“, anche se non esclusiva e, se così non è, l’attività commerciale esercitata “occasionalmente” produce un reddito inquadrabile nella categoria dei redditi diversi.
La stessa Corte di cassazione, secondo un proprio consolidato orientamento, ritiene che la qualifica di imprenditore possa essere attribuita anche a chi semplicemente utilizzi e coordini un proprio capitale per fini produttivi. Inoltre, l’esercizio dell’impresa può riguardare anche un singolo affare, sulla base della rilevanza economia e delle operazioni poste in essere, non rilevando “che le opere eseguite siano qualificabili quali opere di risanamento conservativo” (cfr risoluzione n. 204/2002).
Esaminate le norme e considerato il caso in esame, l’Agenzia ritiene che l’attività compiuta dall’Istante deve considerarsi imprenditoriale dal momento che l’intervento sull’immobile di cui è proprietaria è finalizzato non al proprio uso o a quello della propria famiglia, ma alla vendita (delle tre abitazioni) a terzi, e quindi a realizzare un arricchimento, previo ottenimento del cambiamento della destinazione d’uso, avvalendosi di un’organizzazione produttiva idonea e svolgendo un’attività protratta nel tempo. Il reddito generato dalla vendita, quindi, va considerato imponibile come reddito rientrante nella categoria dei redditi d’impresa (articolo 55 Tuir).
Per finire, i funzionari delle Entrate ricordano che la detrazione per le spese di recupero del patrimonio edilizio di cui all’articolo 16-bis del Tuir spetta a coloro che possiedono o detengono, sulla base di un titolo idoneo, gli immobili oggetto degli interventi e che sostengano le relative spese; tra questi rientrano i proprietari o i nudi proprietari, nonché il futuro acquirente, se è stato stipulato un contratto preliminare di vendita dell’immobile regolarmente registrato come risulta anche dalla circolare n. 13/2019.

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