Giurisprudenza

1 Maggio 2020

Senza una vera “prova di resistenza” il mancato dialogo non “mina” l’atto

La Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 7380 del 17 marzo 2020, ha affermato rilevanti considerazioni in tema di contraddittorio endoprocedimentale.
Nel caso concreto, il contribuente aveva impugnato, davanti alla Commissione tributaria provinciale di Napoli, un atto d’irrogazione di sanzioni, relativo al periodo d’imposta 2008, fondato su una contestazione, derivante da una verifica fiscale della Guardia di finanza nei confronti di un’associazione sportiva dilettantistica, della quale era stato legale rappresentante.
L’atto di contestazione addebitava al contribuente, quale autore della violazione, l’omesso versamento, ascritto all’associazione sportiva, di importi dovuti per omessa autofatturazione di acquisti.

Il giudice di primo grado accoglieva il ricorso, con sentenza poi confermata anche dalla Commissione tributaria regionale della Campania, la quale affermava che l’atto di contestazione e quello conseguente di irrogazione di sanzioni erano nulli, per violazione dell’articolo 12, dello Statuto del contribuente (legge n. 212/2000). Questo in quanto, il primo di tali atti (quello di contestazione) non era stato preceduto dal contraddittorio con il contribuente, il quale, pertanto, era stato privato della facoltà di giustificare le movimentazioni sui conti correnti dell’associazione sportiva, da cui era derivata la contestazione di omessa autofatturazione.

L’Agenzia delle entrate ricorreva per la cassazione della sentenza, censurando, tra le altre, la violazione e falsa applicazione degli articoli 7 e 12 della legge n. 212/2000, oltre che dell’articolo 16 del Dlgs n. 472/1997.
Con un secondo motivo di impugnazione, l’amministrazione finanziaria deduceva, poi, la violazione e falsa applicazione dell’articolo 12, comma 7, della legge n. 212/2000 e della sentenza Corte di giustizia europea del 3 luglio 2014, in causa C 129/13 Kamino, assumendo che la sentenza impugnata trascurava tuttavia che, trattandosi (anche) di tributi armonizzati (Iva), affinché la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale potesse comportare l’invalidità dell’atto, il contribuente avrebbe comunque dovuto assolvere all’onere di enunciare, compiutamente, in giudizio le ragioni che avrebbe potuto fare valere qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato e sempre che l’opposizione di dette ragioni non si rivelasse puramente pretestuosa (prova di resistenza).

Secondo la Suprema corte il primo motivo di impugnazione era fondato.
Evidenziano, infatti, i giudici di legittimità che, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’irrogazione della sanzione amministrativa (nel caso, ex articolo 8, comma 3-bis, del Dlgs n. 471/1997), non è assoggettata al termine dilatorio di sessanta giorni, previsto dall’articolo 12, comma 7, della legge n. 212/2000 per gli atti di natura impositiva, trovando, invece, applicazione la disciplina speciale di cui all’articolo 16 del Dlgs n. 472/1997 (cfr Cassazione, n. 11391/2017).
Nella fattispecie concreta, la Ctr non si era invece attenuta a questo principio, ravvisando la nullità dell’atto d’irrogazione delle sanzioni per difetto del contraddittorio endoprocedimentale, facendo così riferimento ad asserite violazioni del diritto di difesa del contribuente riguardanti, però, non il già detto atto sanzionatorio, regolato dal procedimento disciplinato dal richiamato articolo 16, bensì altri atti a esso prodromici (come quello di contestazione), estranei tuttavia al perimetro del giudizio.

Anche la seconda censura, secondo la Cassazione, era inoltre fondata.
Rileva infatti la Corte che, fermo quanto già detto in ordine all’accoglimento del primo motivo, secondo l’indirizzo di legittimità “In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7, della L. n. 212 del 2000 (cd. Statuto del contribuente), nelle ipotesi di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, opera una valutazione “ex ante” in merito alla necessità del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, sanzionando con la nullità l’atto impositivo emesso “ante tempus”, anche nell’ipotesi di tributi “armonizzati”, senza che, pertanto, ai fini della relativa declaratoria debba essere effettuata la prova di “resistenza”, invece necessaria, per i soli tributi “armonizzati”, ove la normativa interna non preveda l’obbligo del contraddittorio con il contribuente nella fase amministrativa (ad es., nel caso di accertamenti cd. a tavolino), ipotesi nelle quali il giudice tributario è tenuto ad effettuare una concreta valutazione “ex post” sul rispetto del contraddittorio” (Cassazione, n. 701/2019).
In altri termini, rilevano i giudici, in tema di tributi armonizzati, la violazione dell’obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale comporta l’invalidità dell’atto solo nel caso in cui il contribuente assolva all’onere di enunciare, in concreto, le ragioni che avrebbe potuto far valere (cfr Cassazione, sezioni unite, n. 24823/2015, e, in materia di tributi doganali, pronuncia n. 26365/2019). Mentre, nel caso in esame, i giudici di merito avevano omesso di verificare se il contribuente avesse o meno fornito la “prova di resistenza”, indicando, in modo puntuale, le giustificazioni (non pretestuose) che avrebbe potuto contrapporre, in fase amministrativa, alla pretesa erariale.

Tanto premesso, in ordine allo specifico caso processuale, ricordiamo comunque, in termini più generali, che, a partire dagli avvisi di accertamento emessi dal 1° luglio 2020, verrà meno la citata differenziazione per i controlli a tavolino (tributi armonizzati e non), in conseguenza dell’entrata in vigore delle regole sul contraddittorio introdotte dal Dl n. 34/2019 (il “decreto crescita”), che hanno previsto il contraddittorio preventivo obbligatorio in tutti i procedimenti di controllo fiscale. 
L’articolo 4-octies del Dl n. 34/2019 ha, infatti, aggiunto l’articolo 5-ter al Dlgs n. 218/97, introducendo l’obbligo dell’invito a comparire per l’avvio del procedimento di accertamento con adesione, che l’ufficio deve proporre al contribuente prima della notifica dell’avviso di accertamento.
L’articolo 5-ter stabilisce che “l’ufficio, fuori dei casi in cui sia stata rilasciata copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, prima di emettere un avviso di accertamento, notifica l’invito a comparire di cui all’articolo 5 per l’avvio del procedimento di definizione dell’accertamento”. E, in difetto, il successivo accertamento è invalido, ma, comunque, solo se, a seguito d’impugnazione, il contribuente dimostri in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere se il contraddittorio fosse stato attivato (articolo 5-ter, comma 5, Dlgs n. 218/1997) e sempre che non si tratti di avvisi di accertamento parziale (articolo 5-ter, comma 2).
Rimangono comunque validi gli avvisi di accertamento emessi nei casi di “particolare urgenza, specificamente motivata, o nelle ipotesi di fondato pericolo per la riscossione” (articolo 5-ter, comma 4).

Senza una vera “prova di resistenza” il mancato dialogo non “mina” l’atto

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