29 Aprile 2020
Legittimo l’accertamento induttivo se più elementi evidenziano l’evasione
Valido l’accertamento analitico-induttivo che ha dimostrato l’esistenza di ricavi non dichiarati sulla base del riscontro di una bassa redditività della società, rilevata dal confronto con aziende simili per codice attività, e della prassi anomala di pagare i soci in contanti. É la conclusione della sentenza della Cassazione n. 7071 del 17 marzo 2020, in accoglimento della pronuncia della Ctr.
La sentenza in esame é stata emessa a seguito dell’impugnazione, articolata su quattro motivi da parte di una società, della pronuncia della Ctr Puglia con la quale era stato accolto l’appello dell’Ufficio.
In particolare, i giudici di seconde cure avevano ritenuto erronea la sentenza della Ctp, favorevole alla contribuente, statuendo, al contrario:
- la legittimità delle presunzioni adottate dall’Ufficio al fine di ricostruire i proventi non contabilizzati e i costi per prestazioni di lavoro dipendente, verosimilmente dissimulati, partendo dall’analisi della redditività netta media del settore – fra le più basse riscontrate
- il mancato assolvimento dell’onere della prova, da parte della contribuente, in merito alla destinazione delle movimentazioni finanziarie – rinvenute sul conto societario a seguito di apposite indagini – per finalità non estranee alla normale gestione dell’attività sociale (nella specie, non era stata provata la corrispondenza tra le ingenti somme di denaro contante, contestate dall’Ufficio e il presunto utilizzo delle stesse da destinare a compensi dei soci).
La società ha impugnato per Cassazione la sentenza della Ctr articolando il gravame su quattro motivi di doglianza.
Il primo motivo di ricorso è basato su una presunta violazione, da parte dei giudici di secondo grado, delle norme in tema di valutazione delle prove (articolo 112, 115 e 116 cpc nonché 2697 cc e 6, comma 4, della legge n. 212/2000).
La censura, così come argomentata, è stata ritenuta inammissibile, in inadempienza anche del precetto di autosufficienza, da parte della Cassazione non ravvisandosi alcuna inosservanza del principio tra chiesto e pronunciato considerato che la Ctr ha puntualmente analizzato la documentazione presentata, a sua discolpa, dalla parte, costituita da un prospetto riepilogativo delle transazioni commerciali dubbie; prospetto ritenuto correttamente, dalla Ctr verosimilmente autoprodotto in costanza di causa dallo stesso ricorrente e non esaustivo.
Con il secondo motivo di ricorso, la parte ricorrente eccepisce la violazione della normativa regolante la ripartizione dell’onere probatorio in relazione agli articoli 2697, 2727, 2728 e 2729 del codice civile nella fattispecie involgente la metodologia di accertamento basato su una ricostruzione analitico-induttiva del reddito d’impresa così come accertato.
Secondo i giudici di legittimità anche detta eccezione é del tutto infondata in quanto la Ctr ha ritenuto che la ricostruzione, operata dall’Ufficio, e fondata sull’analisi della redditività media di una serie di aziende operanti nel medesimo settore merceologico della ricorrente (con stesso codice attività) fosse sufficiente a dimostrare la distrazione di poste attive dalla regolare tassazione (a tal proposito, Cassazione, ordinanza n. 30803/2017 e sentenza n. 8484/2009).
Inoltre, la metodologia accertativa adottata dall’Agenzia è stata ritenuta idonea anche in riferimento alla inverosimile giustificazione, prodotta dalla parte, in riferimento alla mancata corrispondenza tra i pagamenti in contanti effettuati a favore dei soci (a titolo di stipendi) e le operazioni riscontrate sui conti correnti sociali all’atto delle indagini finanziarie.
Partendo, poi, dal rigetto del terzo motivo di ricorso (presunta motivazione “apparente” della sentenza di secondo grado in presunta violazione degli articoli 132 e 118 cpc nonché 36, comma 2, n. 4) Dlgs n. 546/1992), la Cassazione riprende e richiama, nel caso di specie, l’interessante concetto del “minimo costituzionale” del contenuto motivazionale di un qualsiasi provvedimento giurisdizionale.
Esso consiste (Cassazione sezioni unite, sentenza n. 8053/2014) nell’assenza di una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” ovvero nella mancanza di “un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” tali da rendere apparente il contenuto motivazionale della pronuncia.
Nel caso di specie, non ne è stata ravvisata la violazione in quanto i giudici di seconde cure, seppur succintamente, hanno motivato l’accoglimento dell’appello dell’Ufficio ritenendo non sufficientemente provata la reale destinazione dei versamenti in contanti così come intercettata dall’analisi dei conti correnti societari.
Infine, con il quarto motivo di ricorso, la contribuente lamenta l’omesso esame di una circostanza decisiva per il giudizio in quanto la Ctr avrebbe fatto malgoverno delle contestazioni sollevate in ordine alla scelta, da parte dell’amministrazione procedente, delle aziende concorrenti da porre a parametro della redditività media netta del settore interessato dalla verifica.
La Cassazione, rigettando anche detta eccezione, ha ritenuto che i giudici di secondo grado abbiano esattamente ritenuto corretta la selezione dei soggetti economici similari (per tipologia e codice attività) a quella oggetto di controllo. Inoltre, non da ultimo, è stato posto in risalto il principio in base al quale gli importi, versati in contanti dai soci sui conti correnti, possono derivare, in via alternata, da utili non dichiarati o da costi non sostenuti pur in presenza, come nel caso di specie, di un rapporto di lavoro tra gli stessi soci e la società.
Di conseguenza, dando per scontata l’effettività del contratto di lavoro, permane, al contempo, la legittimità dell’alternativa dei ricavi non dichiarati, che non scalfisce minimamente la bontà della metodologia analitico-induttiva adottata dall’ufficio che ha eseguito l’accertamento.
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