Giurisprudenza

20 Marzo 2018

“Compro oro” nella black list:prove concrete per la deducibilità

Giurisprudenza

“Compro oro” nella black list:
prove concrete per la deducibilità

La Ctr di Firenze fornisce un importante contributo per l’interpretazione della normativa relativa ai componenti negativi in caso di fornitori residenti in Stati a fiscalità privilegiata

“Compro oro” nella black list:|prove concrete per la deducibilità

La Commissione tributaria regionale di Firenze, con la sentenza n. 578/1/2018, dello scorso 16 marzo, ha fornito un importante contributo per l’interpretazione e l’applicazione della normativa in materia di deducibilità dei componenti negativi di reddito derivanti da operazioni effettuate con imprese residenti in Paesi black list.
 
L’articolo 1, comma 142, lettera a, della legge 208/2015 ha abolito lo speciale regime che il Tuir prevedeva in materia di costi per operazioni intercorse con fornitori residenti in Paesi black list; in particolare, sono stati abrogati i commi dal 10 al 12-bis dell’articolo 110 Tuir. Ma l’articolo 1, comma 144, della stessa legge 208/2015, ha specificato che l’abolizione opera a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015. La Commissione toscana ha quindi giudicato con riferimento alla precedente versione dell’articolo 110, applicabile ratione temporis.
 
Il contenzioso riguardava un avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle entrate aveva disconosciuto la deducibilità dei costi afferenti gli acquisti di oro da operatori residenti in Paesi a fiscalità privilegiata (Antille Olandesi, Filippine, Hong Kong), poiché secondo l’ufficio la parte non aveva fornito documentazione idonea a dimostrare che le imprese estere svolgevano prevalentemente un’attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondevano a un reale interesse economico, ai sensi dell’articolo 110, comma 11, Tuir.
A parere della società ricorrente, la disciplina black list comportava, in sostanza, una presunzione di fittizietà delle operazioni e, quindi, l’ufficio non avrebbe potuto comunque disconoscere la deduzione di costi effettivi, inerenti e di competenza.
In particolare, con riferimento alla prima esimente, per il contribuente sarebbe stato sufficiente dimostrare l’esistenza “formale” degli operatori stranieri; per quanto invece riguarda la seconda, per la società, l’oggetto della prova sarebbe consistita non nell’interesse economico legato alla singola operazione, bensì nella strumentalità della stessa rispetto agli obiettivi strategici del soggetto residente.
 
Dal canto suo, l’Agenzia aveva evidenziato come l’interpretazione dell’articolo 110, così come proposta dalla controparte, contraddiceva la stessa lettera della norma, si poneva in netto contrasto con la giurisprudenza della Corte di cassazione e, paradossalmente, rendeva superflua, e di fatto inapplicabile, la previsione dello stesso articolo 110 del Tuir.
 
La Commissione tributaria regionale ha accolto l’appello dell’ufficio, confermando la correttezza della prassi dell’Agenzia delle entrate (circolare n. 29/E/2003), sul solco della giurisprudenza della Cassazione. I giudici fiorentini hanno, infatti, affermato che la norma in esame pone un generale principio di indeducibilità dei componenti negativi di reddito derivanti da operazioni poste in essere con soggetti black list, prevedendo una presunzione relativa che tali operazioni siano irrilevanti fiscalmente poiché viziate da un intento elusivo.
Conseguentemente, quanto alla prima eccezione (dimostrazione che le imprese estere svolgono prevalentemente un’attività commerciale effettiva), il contribuente deve provare una attività commerciale effettiva e non solo l’esistenza formale dell’impresa, che potrebbe non operare concretamente e fungere esclusivamente da schermo per un comportamento di carattere elusivo.
 
Con riferimento al secondo rilievo (dimostrazione che le operazioni rispondono a un reale interesse economico), la Ctr ha richiamato la costante giurisprudenza di legittimità (cfr Cassazione, pronuncia 6498/2015): la prova deve consistere nella dimostrazione che le operazioni black list siano sorrette da una valida giustificazione economica, in particolare, che le transazioni effettuate non si sarebbero potute concludere con soggetti non black list se non a condizioni di maggiore svantaggio. Occorre, dunque, provare non solo che le operazioni hanno avuto concreta esecuzione ma anche che la società era nell’impossibilità di concludere le stesse con soggetti non black list se non a condizioni sfavorevoli.
 
In una causa di valore elevato e particolarmente complessa, sia per le numerose eccezioni avanzate dalla controparte sia per la necessità di confrontare puntualmente operazioni black list e white list in un mercato particolare come quello dell’oro, la Commissione ha ritenuto non raggiunta, in concreto, la prova con riferimento a entrambe le esimenti.
 
La sentenza in commento si pone in continuità con la costante giurisprudenza della Corte suprema. Oltre alla pronuncia n. 6498/2015 (fatta propria dalla Ctr), l’ufficio aveva richiamato la sentenza n. 5398/2012, con la quale la Cassazione aveva preteso non solo la dimostrazione della specifica logica economica sottesa alla scelta del fornitore residente in un Paese a fiscalità privilegiata, ma era arrivata al punto di sindacare nel merito la metodologia di comparazione tra i mercati di riferimento: “deve convenirsi con la difesa erariale che, attesa la finalità della disposizione, solo la dimostrazione dell’impossibilità di approvvigionarsi ad eguali condizioni su mercati di Paesi omogenei a quello con cui viene posta in essere, ma non inserita nella black list, rileva ai fini della L. n. 917 del 1986, artt. 76, commi 7bis e 7 ter, art. 110, comma 11 (pro tempore vigenti)”.
 
È favorevole all’impostazione adottata dall’Agenzia delle entrate anche la giurisprudenza di merito (si vedano, da ultimo, le sentenze, Ctp di Milano n. 6200/2015, Ctp di Bergamo n. 26/2013, Ctr di Milano n. 33/2013, Ctr di Firenze n. 100/2013).
 
Infine, la decisione in commento conferma la correttezza della posizione assunta dall’Agenzia tramite i propri documenti di prassi e, in particolare con circolare n. 29/E/2003, risoluzione n. 46/2004 e circolare 1/E/2009.

Laura Cugno

pubblicato Martedì 27 Marzo 2018

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