Carmen Miglino
3 Gennaio 2018
La vendita a “futuri” associati,per il “presente” frutta imponibile
Giurisprudenza
La vendita a “futuri” associati,
per il “presente” frutta imponibile
Non rileva il connotato di “ente religioso”, per l’agevolazione occorre dimostrare che le cessioni a terzi non costituiscano attività di carattere commerciale esclusiva o principale
È soggetto a tassazione il reddito prodotto, da un’associazione religiosa, con la vendita di pubblicazioni e pacchetti di corsi a prezzi scontati, nell’ambito dell’attività di ricerca “porta a porta” di nuovi associati. Ad affermarlo la Corte suprema con l’ordinanza n. 29886 del 13 dicembre scorso.
Fatto
Il contenzioso origina dall’impugnazione di un avviso di accertamento emesso dall’ufficio di Firenze, a seguito di un processo verbale di constatazione della Guardia di finanza, nei confronti di un’associazione religiosa. In particolare, si contestava l’omessa contabilizzazioni di ricavi, ai fini Irpeg e Ilor, per l’annualità 1986; investita della questione, la Commissione tributaria provinciale rigettava il ricorso, ritenendo non raggiunta la prova che le cessioni dei beni e le prestazioni dei servizi fossero state effettuate in conformità ai fini istituzionali dell’associazione come da quest’ultima rivendicato. Adita la Ctr, l’appello della contribuente veniva dichiarato inammissibile, con sentenza cassata dalla Corte suprema, che rinviava per l’esame nel merito ad altra sezione della medesima Commissione regionale.
Riassunta la causa, la Ctr della Toscana rigettava le doglianze dell’associazione, confermando la natura commerciale delle prestazioni svolte dall’associazione in favore di soggetti terzi, mediante ricerche “porta a porta”, predisposizione di cataloghi e di pacchetti di corsi a prezzi scontati.
L’associazione ha proposto ricorso per cassazione, lamentando, tra l’altro, la falsa applicazione del Dpr n. 598/1973, articoli 19 e 20 vigenti pro tempore, anche in relazione all’articolo 2697 cc, articoli 112, 115 e 116 cpc e della legge. n. 456/1992, articolo 24, essendo rilevanti – a suo dire – “non le modalità della avvenuta commercializzazione dei beni e servizi dell’associazione e l’esistenza o meno dei corrispettivi, sebbene esclusivamente la conformità dei servizi e delle cessione ai fini istituzionali dell’associazione stessa”.
Decisione – Ulteriori osservazioni
In tema di imposte sui redditi, ai sensi dell’articolo 20 del Dpr n. 598/1973, le pubblicazioni di un’associazione religiosa, se prodotte per la vendita, costituiscono attività commerciale con una sola eccezione: che la loro cessione avvenga prevalentemente nei confronti degli associati.
In sostanza, le cessioni di beni, effettuate agli associati verso pagamento di corrispettivi specifici in conformità alle finalità istituzionali, non si considerano fatte nell’esercizio di attività commerciale (e quindi non concorrono alla formazione del reddito complessivo imponibile) a meno che non si tratti di cessione di beni nuovi prodotti per la vendita, la quale “in ogni caso” e, quindi, anche se fatta in conformità alle finalità istituzionali dell’ente, è considerata attività commerciale.
Tuttavia, qualora i beni nuovi prodotti per la vendita siano costituiti da pubblicazioni, la loro cessione non costituisce attività commerciale e, pertanto, non concorre alla formazione del reddito complessivo imponibile, se riguarda prevalentemente gli associati.
La Ctr, sottolinea la Corte, ha fatto corretta applicazione del principio di diritto innanzi indicato, negando il fine istituzionale della ricorrente posto “che l’associazione – mediante individuazione dei destinatari attraverso un’attività di ricerca “porta a porta”, con predisposizione di cataloghi e relativi prezzi e di pacchetti di corsi a prezzi scontati – richiedeva a terzi, ancora non associati, un corrispettivo predeterminato per la fornitura delle prestazioni e la formalizzazione dell’adesione all’associazione”.
In particolare, si legge nella sentenza, l’associazione “parallelamente alla propria attività religiosa”, conduceva “un‘attività sostanzialmente di carattere commerciale rivolta a terzi ricavandone un reddito”.
Per attestare il fine istituzionale “non giova insistere sul connotato di ente religioso”; per la riconducibilità di una certa organizzazione nel novero degli enti religiosi, al fine di beneficiare delle agevolazioni fiscali, occorre che l’attività in concreto esercitata non abbia avuto carattere commerciale, in via esclusiva o principale.
Anche in presenza di un’attività commerciale di tipo non prevalente, occorre che la stessa sia in rapporto di strumentalità diretta e immediata con quella istituzionale e, quindi, non si limiti a perseguire il procacciamento dei mezzi economici al riguardo occorrenti.
Per i giudici di legittimità, nulla di questo è avvenuto, avendo l’associazione posto in essere una vera e propria attività commerciale al fine di ricavarne un reddito, mediante vendita di pubblicazioni e organizzazione a pagamento di corsi a beneficio di soggetti non associati; di qui il rigetto del ricorso e la conferma della decisione di merito.
pubblicato Venerdì 5 Gennaio 2018

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