Analisi e commenti

8 Aprile 2024

Tasse sulla CO2, meglio insieme che adottarle in ordine sparso

La cooperazione tra Stati come chiave del successo delle politiche green. Analizzati, in un Working paper della Banca d’Italia, gli effetti economici esterni indesiderati indotti dal varo d’una fiscalità ambientale priva di coordinamento sul piano internazionale e/o macro regionale.

Le politiche ambientali di alcuni Paesi influenzano le politiche green di altri Stati? E ancora, quali sono gli effetti di ricaduta internazionale delle tasse sul carbonio adottate da una singola realtà statuale e, soprattutto, in che modo una tale tassazione può influenzare le variabili di un’economia aperta, in cui per variabili s’intendono, ad esempio, i flussi di capitale, i tassi di cambio delle monete eccetera? E per ultimo, quale via strategica seguire per progettare un’efficace politica ambientale? Per rispondere a queste domande, in un recente lavoro frutto dell’analisi preziosa dei ricercatori della Banca D’Italia, dal titolo “Tasse sul carbonio nel mondo: cooperazione, interazioni strategiche e ricadute” è stato sviluppato un modello di equilibrio economico dinamico, con all’interno le principali variabili, con l’obiettivo di dimostrare come l’attuazione di programmi fiscali green varati oltrepassando i meri confini d’un solo Stato risultino essere di gran lunga preferibili, in termini di riuscita, a quelli strettamente nazionali e scoordinati rispetto al panorama esterno.

Climate change&Carbon tax
Alla base di questa riflessione c’è, ovviamente, il cambiamento climatico, un fenomeno, come illustra il Working paper, che si riferisce ai mutamenti a lungo termine nei modelli meteorologici medi, caratterizzati da un aumento delle temperature globali, da eventi meteorologici estremi e da diffusi sconvolgimenti sul piano ecologico e ambientale. Il consenso scientifico spiega come i cambiamenti climatici sono determinati principalmente dalle attività umane, tra cui l’emissione di gas a effetto serra derivanti dalla combustione di combustibili fossili, CO2, la deforestazione e l’inquinamento. Per arginare un tale sconvolgimento climatico, è necessaria la riduzione delle emissioni di gas serra e il rimodellamento dell’attività economica sottoposta al rischio di transizione. È inoltre da più parti invocata e in molti Stati attuata la cosiddetta carbon tax, una specifica tassa sui prodotti energetici che emettono biossido di carbonio (CO2) nell’atmosfera. In pratica, un esempio di tributo ambientale o ecotassa, calcolato in base alla quantità di inquinante generato dalla combustione. La ratio della norma, infatti, è quella di far sostenere il costo del danno all’ambiente direttamente a chi lo ha provocato, in tal caso a chi immette nell’atmosfera biossido di carbonio, le aziende principalmente, secondo il principio del chi inquina paga.

Il rischio delle carbon tax isolate e non come risultato d’un coordinamento internazionale
Il cambiamento climatico è un esempio di esternalità negativa globale, dato che la maggior parte dei Paesi è troppo piccola per ridurre efficacemente l’inquinamento globale da sola. Anche se si internalizzassero i costi del cambiamento climatico attraverso l’implementazione di tasse sul carbonio, in assenza di coordinamento tra i Paesi i costi globali ne verrebbero esclusi, con il risultato di politiche ambientali non ottimali. In pratica, in assenza di cooperazione globale, le tasse sul carbonio possono portare a effetti di ricaduta indesiderati, influenzando i flussi di capitale e spostando le attività inquinanti verso Paesi con normative ambientali più deboli. Mentre sul versante opposto, una carbon tax coordinata sul piano internazionale porterebbe a una transizione verde molto più rapida, riducendo i costi e le perdite di utilità del cambiamento climatico.

Perché questo risultato?
Ciò accade perché, in assenza di coordinamento, un Paese che impone una carbon tax sostiene interamente i suoi costi recessivi, mentre i benefici di una tassazione green più elevata, in termini di riduzione dell’inquinamento, sono proporzionali alla dimensione dello Stato e dell’economia in questione. Inoltre, gli elaborati e i dati del Working paper dimostrano che applicando un modello di equilibrio come quello di Nash, cosiddetta teoria dei giochi, le tasse sono inefficientemente basse soprattutto nei Paesi ad alto reddito e che per tale ragione, un potenziale pianificatore sociale globale aumenterebbe la tassazione sulle emissioni di carbonio maggiormente proprio nei Paesi più ricchi, in quanto caratterizzati da una minore utilità marginale del consumo.

Sul piano concreto, i risultati indicano che quando un grande Paese introduce unilateralmente la tassazione sulle emissioni di carbonio, i suoi consumi diminuiscono gradualmente, idem il tasso di interesse, mentre il tasso di cambio si deprezza, creando aspettative di apprezzamenti futuri. Questa azione unilaterale dirotta anche i flussi di debito e di capitale verso altri Paesi. In parte, questi flussi includono investimenti nei settori inquinanti dell’altro Paese, dando origine a fenomeni di carbon leakage, ovvero, la rilocalizzazione di gas serra emessi all’interno dei propri confini che, a seguito dell’introduzione unilaterale della carbon tax, finiscono semplicemente per spostarsi con gli investimenti in altri Stati, facendo sì che i propri problemi d’inquinamento domestico trovino alloggio “in casa d’altri”, generalmente realtà statuali che non condividono le stesse ambizioni climatiche e prive di forme d’imposizione simili volte a penalizzare chi produce o immette nell’aria CO2. Così, l’impegno del singolo Paese e gli sforzi dei suoi cittadini potrebbero essere vanificati.

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