4 Marzo 2022
Rilascio del visto di conformità: meno vincoli per i soci delle Stp
I soci delle “Società tra professionisti” esercenti attività di assistenza fiscale, validamente costituite e iscritte nel registro delle imprese e nell’ordine professionale, possono rilasciare il visto di conformità anche quando la maggioranza del capitale sociale non è detenuta da professionisti iscritti agli albi purché sia disposto che i soci certificatori detengano il controllo dei diritti di voto della Stp, garantito attraverso l’adozione di “patti parasociali o clausole statutarie”, cioè possano esprimere la maggioranza dei 2/3 nell’assunzione delle decisioni societarie. Tale assetto societario della Stp regolarmente iscritta risulta in linea con le disposizioni normative che regolano la relativa disciplina e garantisce “il presidio della qualificazione professionale e della fede pubblica” della società tra professionisti. Devono ritenersi, quindi, in parte superate le precedenti indicazioni di prassi (risoluzione n. 23/2016), in base alle quali, equiparando di fatto la Stp alla società di servizi, si riteneva necessario che, per l’iscrizione del socio professionista di una Stp nell’elenco dei soggetti abilitati al visto di conformità, i soci professionisti costituissero la maggioranza e detenessero la maggioranza del capitale sociale della Stp. Sono le precisazioni contenute nella risoluzione n. 10 del 4 marzo 2022 dell’Agenzia delle entrate.
Il chiarimento si è reso necessario in quanto secondo le precedenti indicazioni sui requisiti necessari per l’apposizione del visto di conformità da parte dei professionisti soci di una Stp, con il documento di prassi citato, in linea con le previsioni dell’articolo 10, comma 4, lettera b), legge n. 183/2011, aveva ribadito che il numero dei soci professionisti e la partecipazione al capitale sociale dei professionisti deve essere tale da determinare la maggioranza di due terzi nelle deliberazioni o decisioni dei soci.
Il Garante della concorrenza, tuttavia, ha chiesto al ministero della Giustizia e al ministero dello Sviluppo Economico di valutare se l’interpretazione di tale articolo della legge di Stabilità 2012, secondo cui devono sussistere entrambi i requisiti (maggioranza dei due terzi in termini di numero di soci professionisti e di partecipazione al capitale sociale) possa essere lesiva del principio della libera concorrenza, ritenendo che andasse essere privilegiata l’interpretazione della norma che esclude il cumulo dei due requisiti.
La sussistenza di entrambi i requisiti, rileva l’Agenzia, serve a limitare il potere dei soci non professionisti affinché non prendano decisioni strategiche sulla Stp. Tuttavia questo obiettivo può essere raggiunto anche con strumenti alternativi, come i patti parasociali o le clausole statutarie, che consentono di contenere o di espandere i diritti dei soci, garantendo ai soci professionisti il controllo della società anche se essi non raggiungono i 2/3 e detengono quote inferiori a tale numero.
Fatta questa premessa, l’Agenzia, nelle more dell’intervento normativo sull’articolo 10, comma 4 della legge di Stabilità 2012 e preso atto dell’informativa adottata dal Consiglio degli Ordini dei dottori commercialisti e degli esperti contabili che richiede un adeguamento al nuovo indirizzo, per quanto riguarda i profili fiscali si uniforma ai nuovi principi e ritiene, di conseguenza, possibile l’inserimento nell’elenco dei soggetti abilitati al visto di conformità anche ai professionisti soci di Stp validamente costituite, anche quando la maggioranza del capitale sociale non è detenuta da professionisti iscritti nei relativi albi, purché tali soci detengano il controllo dei diritti di voto della Stp. garantito attraverso l’adozione di “patti parasociali o clausole statutarie”, cioè possano esprimere la maggioranza dei 2/3 nell’assunzione delle decisioni societarie.
Anche con la nuova interpretazione, conclude l’Agenzia, l’assetto societario di una Stp regolarmente iscritta è in linea con la normativa e non lede “il presidio della qualificazione professionale e della fede pubblica”.
Le indicazioni fornite con la risoluzione n. 23/E del 14 aprile 2016 che consideravano necessaria la sussistenza dei due requisiti devono ritenersi, quindi, superate alla luce dei nuovi criteri interpretativi.
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