Giurisprudenza

9 Luglio 2020

La vaga inerzia del commercialista non motiva la remissione in termini

La possibilità di ottenere la rimessione in termini, ai fini del compimento di un’attività processuale successivamente alla scadenza dei relativi termini di legge, è condizionata al ricorrere di un’ipotesi di causa impeditiva, che presenti carattere di non imputabilità al soggetto che chiede di avvalersi del beneficio.
Questo il principio confermato dall’ordinanza della Cassazione n. 9426 dello scorso 22 maggio in cui la Corte ha escluso che configuri causa non imputabile l’ipotesi in cui l’interessato si limiti ad addurre l’inerzia del proprio professionista che, nonostante l’incarico ricevuto, non aveva proposto ricorso avverso l’atto di accertamento.

La vicenda processuale
In un giudizio relativo a una cartella di pagamento per Iva e Irap 2005, la Commissione tributaria regionale della Liguria, con la sentenza n. 5/6/2014, confermava il verdetto di prime cure che, nel respingere il ricorso del contribuente, aveva concluso per la legittimità dell’atto impugnato.
Ricorrendo in sede di legittimità, la parte privata proponeva tre motivi di censura. In particolare, eccepiva la violazione e la falsa applicazione degli articoli 19, comma 3, del Dlgs n. 546/1992, e 153 cpc: nel dettaglio, si doleva del fatto che il giudice regionale non gli aveva concesso di fruire della rimessione in termini per l’impugnazione tardiva dell’atto tributario, difesa che l’interessato affermava pregiudicata dall’inerzia del proprio professionista che, nonostante l’incarico ricevuto, non aveva proposto il ricorso avverso l’avviso di accertamento.

La pronuncia della Corte
La Corte ha disatteso il riferito motivo di doglianza osservando che l’asserito inadempimento del professionista delegato all’impugnazione, seppure può venire in rilievo nei rapporti tra questi e il contribuente, non si riverbera in alcun modo sui termini per l’impugnativa dell’avviso di accertamento.
Inoltre, spiega l’ordinanza in rassegna, neppure può trovare applicazione l’istituto della “remissione in termini”, quando come nel caso in esame vengano invocati motivi che siano giuridicamente estranei al requisito della non imputabilità, richiesto dalla legge quale condizione per l’operatività dell’istituto.

Nello specifico, si legge nella pronuncia, la circostanza che l’interessato faccia rinvio a un generico inadempimento del difensore al mandato, senza neppure documentarne la sussistenza, costituisce “interpretazione di richiamo meramente soggettiva, inammissibilmente ricomprensiva di ogni prospetto di negligenza della parte stessa e come tale del tutto estranea alla latitudine oggettiva e dunque di controllabilità che la disposizione pretende, costituendo la remissione in termini invocata una deviazione eccezionale dalla regola comune della perentorietà del termine ad impugnare, assoggettata per tale ragione ad interpretazione selettiva”.

In altri termini, insomma, ai fini della rimessione in termini, non è sufficiente invocare ragioni che assumono una valenza squisitamente soggettiva, dovendo piuttosto sussistere ostacoli di carattere oggettivo tali da escludere qualunque profilo di imputabilità in capo a chi pretende di beneficiare dell’istituto.
D’altra parte, ricordano i giudici di piazza Cavour, neppure nei casi in cui sono state invocate circostanze impeditive ancora più personali (come ad esempio, uno stato di malattia), la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto di concedere la rimessione in termini alla parte che non si era costituita tempestivamente, sul rilievo che anche la patologia fisica non costituisce impedimento non imputabile, essendo possibile il rilascio di una procura ad hoc per l’espletamento dell’incombente processuale.

Osservazioni
In base all’articolo 153, secondo comma, cpc (in precedenza, ai sensi del successivo articolo 184-bis), la parte, che dimostra di essere incorsa in decadenza per causa a essa non imputabile, può chiedere al giudice di essere rimessa in termini.
Tale disposizione, ritenuta applicabile anche al processo dinanzi alle Commissioni tributarie, secondo quanto chiarito dal Collegio di nomofilachìa, opera sia con riferimento alle decadenze relative ad attività processuali da svolgersi all’interno di un giudizio già incardinato, sia a quelle correlate a facoltà esterne e strumentali al processo, come quella relativa al termine per impugnare (cfr Cassazione, nn. 6102/2019, 4612/2019 e 28872/2018).

Affinché possa invocarsi la rimessione in termini, per poter compiere l’attività pur quando siano scaduti i termini previsti al riguardo dalla legge, è necessario che ricorra un’ipotesi di causa impeditiva che presenti il carattere della non imputabilità alla parte che chiede di avvalersi del beneficio.
In particolare, è stato ricordato che la causa non imputabile “consiste in un fatto, esterno alla sfera di controllo della parte o del suo difensore, che deve essere specificamente allegato e spiegato nella sua efficienza causale”, mentre non può risolversi in una mancanza di diligenza, non potendo quindi consistere in un difetto di organizzazione della propria attività professionale da parte del difensore (Cassazione, n. 363/2017).

Analogamente, dopo aver premesso che l’istituto della rimessione in termini è una soluzione costituzionalmente orientata e coerente con i principi della Carta della Repubblica di effettività del contraddittorio e delle garanzie difensive, le sezioni unite (cfr Cassazione, n. 32725/2018) hanno precisato che ai fini della sua operatività, oltre alla dimostrazione che la decadenza è dipesa da causa non imputabile, è richiesta la tempestività dell’iniziativa della parte, da intendere come immediatezza della reazione al palesarsi della necessità di svolgere l’attività processuale ormai preclusa.
Nella medesima pronuncia, il Collegio di piazza Cavour ha, inoltre, chiarito che la malattia o uno stato di salute non ottimale del difensore non rileva di per sé come legittimo impedimento, a differenza di quanto potrebbe essere, ad esempio, un malessere improvviso o un totale impedimento a svolgere l’attività professionale.
Con riguardo alle patologie fisiche, la richiamata sentenza n. 363/2017 ha, ad esempio, riconosciuto come idonea a giustificare la rimessione in termini la malattia insorta, in modo imprevedibile, al quinto dei dieci giorni a disposizione per il compimento dell’attività, provata dal difensore mediante certificazione del ricovero ospedaliero, e idonea a incidere in modo determinante sulla possibilità di porre in essere le condotte dovute.

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