Normativa e prassi

22 Aprile 2020

Opzioni e redditi del trust revocabile nella realtà, sono tutti del disponente

In caso di trust revocabile da parte del disponente fino alla data del suo decesso, le opzioni del risparmio amministrato e gestito (previste, rispettivamente, dagli articoli 6 e 7 del Dlgs n. 461/1997) effettuate dal trustee (la fiduciaria) per conto del trust, sono valide, ma imputabili al disponente, poiché da considerarsi riferite a una struttura meramente interposta rispetto al settlor e fiscalmente “inesistente”.
Questo perché l’elemento essenziale affinché un trust possa essere qualificato come soggetto passivo ai fini delle imposte sui redditi è costituito dall’effettivo potere del trustee di amministrare e disporre dei beni a lui affidati dal disponente, fatto che deve essere specificato nell’atto istitutivo.
Al contrario, nelle ipotesi in cui, per effetto delle disposizioni contenute nell’atto (come nel caso in esame) o in base a elementi di mero fatto, tale potere permanga in tutto o in parte in capo al disponente, il trust perde consistenza dal punto di vista fiscale, configurandosi come semplice “struttura interposta rispetto al disponente”. Quest’ultimo, infatti, non si spossessa realmente dei beni posti nel patrimonio costitutivo del trust e a lui devono continuare a essere attribuiti i redditi solo formalmente prodotti dal trust (cfr circolari nn. 61/2010 e 48/2007). Ne consegue che tali redditi saranno assoggettati a tassazione, in capo al disponente, secondo i principi generali previsti per ciascuna delle categorie reddituali di appartenenza ai fini delle imposte dirette.

È la premessa su cui si fonda la risposta n. 111/2020, fornita dall’Agenzia a una società trustee di un trust revocabile, la quale, conscia del fatto che i redditi generati da questo sono tutti imputabili al disponente, manifesta alcune incertezze in merito alla validità di due opzioni per regimi fiscali sostitutivi effettuate con riferimento ai redditi realizzati dal trust nel 2018, in relazione alle somme incrementali apportate al trust dal disponente e gestite tramite tre relazioni bancarie, intestate al trust, con soggetti esteri comunque rappresentati in Italia attraverso intermediari o stabili organizzazioni.
Il dubbio dell’istante trae origine dal fatto che la disciplina relativa alle opzioni per i regimi di imposizione sostitutiva va esercitata per iscritto dal “contribuente”, il quale, in questo caso, essendo il trust revocabile e quindi fiscalmente irrilevante ai fini delle imposte dirette, sarebbe il disponente.
La società, inoltre, chiede conferma sulla possibilità di attribuire al disponente i crediti di imposta per i redditi prodotti all’estero e le ritenute a titolo di acconto applicate nei confronti del trust (o del trustee per conto del trust) in relazione ai redditi realizzati sui beni costituenti il fondo nel corso del 2018, compresi quelli maturati sulle relazioni bancarie, in caso di disconoscimento delle opzioni.

L’Agenzia chiarisce, in particolare, che, dovendosi attribuire al disponente i redditi formalmente prodotti dal trust revocabile, le opzioni per i regimi del risparmio gestito e di quello amministrato esercitate dal trustee per conto del trust esplicano la loro validità nei confronti del disponente.
A tal fine, quest’ultimo o il trustee, alla luce della su esposta considerazione del trust come struttura interposta, sono tenuti a informare tempestivamente l’intermediario o il gestore affinché questi ultimi possano adempiere ai propri obblighi fiscali correttamente, cioè applicare i richiamati regimi fiscali sostitutivi al vero titolare delle “relazioni bancarie”.
In relazione ai redditi di capitale realizzati nel 2018, derivanti da partecipazioni di natura non qualificata, non assoggettati a ritenuta o imposizione sostitutiva da parte dell’intermediario o del gestore, il disponente dovrà indicarli nella propria dichiarazione e applicare l’imposta sostitutiva del 26 per cento. In più, siccome si tratta di redditi di fonte estera che non concorrono alla determinazione del reddito complessivo del contribuente, non danno diritto al credito d’imposta sulle imposte pagate all’estero in via definitiva.
Il comma 1 dell’articolo 165 del Tuir, infatti, stabilisce che “se alla formazione del reddito complessivo concorrono redditi prodotti all’estero, le imposte ivi pagate a titolo definitivo su tali redditi sono ammesse in detrazione dall’imposta netta dovuta fino alla concorrenza della quota d’imposta corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all’estero ed il reddito complessivo al netto delle perdite di precedenti periodi d’imposta ammesse in diminuzione”.

Per la dichiarazione di tali redditi, aggiunge l’amministrazione, non è possibile indicare il “netto frontiera” come prospettato dalla società trustee. Al riguardo, osserva, innanzitutto, che ai sensi dell’articolo 27, comma 4 del Dpr n. 600/1973, se questi utili sono percepiti per il tramite di uno dei soggetti indicati nelle lettere a) e b) del comma 1 dell’articolo 73 del Tuir “sulle remunerazioni corrisposte a persone fisiche residenti relative a partecipazioni al capitale … qualificati e non qualificate ai sensi delle lettere c) e c-bis) del comma 1 dell’articolo 67 del medesimo testo unico e non relative all’impresa ai sensi dell’articolo 65 dello stesso testo unico, è operata una ritenuta del 12,50 per cento (ora 26 per cento) a titolo d’imposta dai soggetti di cui al primo comma dell’articolo 23 che intervengono nella loro riscossione”. Il primo periodo del successivo comma 4-bis precisa che “le ritenute del comma 4 sono operate al netto delle ritenute applicate dallo Stato estero”.
Nel caso in cui, invece, la materiale riscossione degli utili esteri non dovesse avvenire mediante un intermediario residente, si applica l’articolo 18 del Tuir, il quale dispone che tali redditi devono essere assoggettati in Italia a un’imposizione sostitutiva da applicare all’utile distribuito dal soggetto non residente, che va considerato al lordo delle eventuali ritenute operate all’estero a titolo definitivo.

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