Vincenzo Portacci
19 Novembre 2018
Ok al sequestro a cascata di beninella sfera degli interessi del reo
Giurisprudenza
Ok al sequestro a cascata di beni
nella sfera degli interessi del reo
È possibile intervenire preventivamente sulle quote societarie appartenenti a persona estranea alla frode, qualora sussista un nesso di strumentalità con il delitto contestato
La Cassazione, con sentenza n. 51345/2018, ha rigettato il ricorso dell’imprenditore, ritenendo legittimo il “sequestro a cascata” delle quote di società riconducibili all’indagato per frode fiscale.
Secondo la Corte, infatti, il sequestro preventivo può essere applicato anche ai beni nella sola “disponibilità” dell’indagato, a nulla rilevando l’utilizzo di prestanome in rappresentanza delle società utilizzate nell’affare illecito.
Il caso e la pronuncia
La vicenda ha origine da una procedura cautelare incardinata presso la procura della Repubblica di Pescara, riguardante il sequestro preventivo di beni riconducibili all’indagato, accusato di aver commesso molteplici illeciti fiscali, quali falsa fatturazione, creazione e utilizzo di crediti Iva inesistenti e imputazione a bilancio di costi fittizi per abbattere illecitamente l’imponibile erariale.
In particolare, l’imprenditore è stato accusato di essere coinvolto in molteplici operazioni fraudolente nel settore dell’edilizia, poste in essere attraverso una miriade di società riconducibili all’indagato, la cui rappresentanza legale era affidata a dei prestanome.
L’indagine ha permesso di ricostruire il modus operandi del sodalizio criminale: veniva creata una società “pulita” che si doveva occupare di un singolo progetto, poi, quando l’attività era ben avviata, venivano posti in essere i suddetti reati tributari. La società veniva quindi svuotata dei principali asset mediante cessioni di rami d’azienda e di quote sociali a favore di altre società create all’occorrenza (o già esistenti).
Una volta appurato dagli inquirenti il meccanismo della frode fiscale, dopo un articolato iter processuale, il tribunale del riesame di Chieti aveva disposto il sequestro preventivo delle disponibilità liquide, del denaro contante, dei depositi e degli investimenti finanziari delle società coinvolte, nonché il sequestro preventivo “per equivalente” dei beni immobili e degli altri beni “nella disponibilità” dell’imputato, tra cui le quote delle società utilizzate nella frode, sino al raggiungimento di un ingente importo (notevolmente ridotto a causa della prescrizione di alcuni reati).
L’imprenditore ha quindi impugnato il provvedimento cautelare, manifestando numerose doglianze. In particolare, il soggetto lamentava l’illegittimità del “sequestro a cascata” delle quote sociali, nonché l’illegittimità dello stesso sequestro per equivalente, ritenendo che gli inquirenti non hanno considerato la possibilità del sequestro diretto del profitto del reato reinvestito.
La Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendo i motivi dell’imputato del tutto infondati e stabilendo che “per procedere al sequestro finalizzato alla confisca di altri beni di cui il reo abbia la disponibilità per un valore corrispondente a quello del profitto del reato, è necessario l’accertamento del presupposto costituito dalla impossibilità di sequestrare in via diretta i beni che costituiscono il profitto del reato stesso, quindi si può procedere a porre il vincolo preventivo, su beni diversi per un valore corrispondente solo ove sia impossibile sottoporre a sequestro i beni che si identificano con il prezzo o il profitto del reato”, situazione di fatto riscontrata nel corso dell’iter processuale.
Osservazioni
Con la sentenza in esame, la Corte di cassazione ha affrontato la dibattuta tematica del valore e dei beni rientranti nel sequestro preventivo per equivalente, affermando che è legittimo il sequestro a cascata delle quote delle società utilizzate dall’imputato nella frode fiscale.
Inoltre, la Corte ha ribadito che è confiscabile anche il “profitto del reato”, nel caso di specie dato dal minor aggravio economico di cui ha beneficiato l’imprenditore in termini di imposte, sanzioni e interessi non versati all’Erario.
La Corte ha, infatti, affermato che “il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, può essere disposto non soltanto per il prezzo, ma anche per il profitto del reato”, precisando anche che il sequestro preventivo “…può essere applicato ai beni anche nella sola disponibilità dell’indagato, per quest’ultima intendendosi, al pari della nozione civilistica del possesso, tutte quelle situazioni nelle quali i beni stessi ricadano nella sfera degli interessi economici del reo, ancorché il potere dispositivo su di essi venga esercitato per il tramite di terzi”.
Infine, la Corte suprema ha ribadito il principio secondo cui è legittimo il sequestro preventivo delle quote di una società appartenenti a persona estranea al reato, qualora sussista un nesso di strumentalità tra detti beni e il reato contestato, e il vincolo cautelare sia destinato a impedire, sia pure in modo mediato e indiretto, la protrazione dell’ipotizzata attività criminosa ovvero la commissione di altri fatti penalmente rilevanti attraverso l’utilizzo delle strutture societarie.
In conclusione, i giudici hanno escluso la restituzione delle quote sociali sequestrate, ritenendo che le stesse potessero essere funzionali alla commissione di ulteriori reati da parte dell’indagato.
pubblicato Mercoledì 28 Novembre 2018

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