22 Maggio 2025
Spese ristrutturazione beni di terzi: riflessioni sulla contabilizzazione
La recente ordinanza n. 11509 del 2 maggio 2025 della Cassazione permette di effettuare alcune considerazioni sulla corretta contabilizzazione delle spese di ristrutturazione sostenute da una società su immobili non di proprietà.
Il caso è quello di una società che deteneva un immobile in forza di un contratto di comodato a tempo indeterminato, concesso da uno dei soci. Le spese di ristrutturazione sostenute sono state contabilizzate tra le immobilizzazioni materiali nel conto immobili, in luogo della corretta contabilizzazione come immobilizzazioni immateriali. Una siffatta contabilizzazione ha permesso alla società di ottenere la congruità e la coerenza dello studio di settore allora vigente e la conseguente non applicazione disciplina delle società di comodo (ex articolo 30, comma 2, n. 6-sexies, legge n. 724/1994).
L’Agenzia, partendo dalla non corretta contabilizzazione di tali spese, ha in prima battuta variato l’esito dello studio di settore e successivamente, venendo meno la causa di disapplicazione della normativa sulle società non operative, applicato le relative regole.
E infatti, una volta che non era più sussistente la causa di disapplicazione, la riclassificazione di dette spese ha inciso sia sulla determinazione dei ricavi minimi, sia sulla determinazione del reddito minimo. I coefficienti previsti per gli assets immateriali sono infatti superiori (15% per la determinazione dei ricavi minimi e 12% per il reddito minimo) rispetto a quelli stabiliti per gli immobili strumentali (6% e, dal 2024, 3% per gli immobili, per la determinazione dei ricavi minimi- 4,75 % e 2.38% dal 2024 per il reddito minimo).
In merito alla contabilizzazione delle spese sostenute su beni di terzi, i principi contabili (Oic 24) stabiliscono che le migliorie e le spese incrementative su beni di terzi devono essere contabilizzate in modo diverso, a seconda che siano separabili o meno dal bene cui afferiscono: nel primo caso la contabilizzazione corretta è tra le immobilizzazioni materiali, nel secondo tra le immateriali. Più in particolare, il paragrafo A 22 del principio contabile prevede che “i costi sostenuti per migliorie e spese incrementative su beni presi in locazione dall’impresa (anche in leasing) sono capitalizzabili ed iscrivibili tra le “altre” immobilizzazioni immateriali se le migliorie e le spese incrementative non sono separabili dai beni stessi (ossia non possono avere una loro autonoma funzionalità); altrimenti sono iscrivibili tra le “Immobilizzazioni materiali” nella specifica voce di appartenenza.”
Il paragrafo A 23 continua stabilendo che “I costi per migliorie e spese incrementative su beni di terzi sono cancellati dal bilancio nel caso in cui il contratto di locazione (o leasing) cui si riferiscono cessi prima della scadenza originariamente pattuita. Il relativo importo è rilevato direttamente a conto economico nella voce B10c) Altre svalutazioni delle immobilizzazioni, salvo il caso in cui la cessazione del contratto dipenda dall’acquisto del bene da parte della società. In questa ipotesi, l’importo iscritto tra le “Immobilizzazioni immateriali” viene riclassificato tra le “Immobilizzazioni materiali” ad aumento del costo del bene acquisito, nel limite del valore recuperabile del bene”.
In nessun caso, però, si può ritenere corretta la contabilizzazione autonoma nel conto dei beni immobili, sebbene la spesa sostenuta afferisca a un bene immobile, quando questo bene non è di proprietà della società (cfr Cassazione, sentenza n. 22139/2024, secondo cui “in tema di imposte dirette, i costi relativi alle immobilizzazioni materiali o immateriali sono ammortizzabili purché riguardino beni consumabili che entrano nel patrimonio dell’imprenditore a titolo di proprietà o di altro diritto reale di godimento, non essendo, invece, ammortizzabili i costi riguardanti beni di proprietà di terzi”).
Contabilmente, quindi, nel caso di costi di carattere ordinario, essi sono rilevati quali costi dell’esercizio. Nel caso, invece, di migliorie e spese incrementative su beni di terzi, esse possono essere capitalizzate nell’attivo dello Stato patrimoniale mediante la loro iscrizione (Oic 24, paragrafo A.22):
- nella voce B.I.7 (altre immobilizzazioni immateriali), se le migliorie e le spese incrementative non risultano separabili dai beni stessi (in quanto non suscettibili di rivestire una loro autonoma funzionalità)
- nella specifica voce delle immobilizzazioni materiali relativa alla categoria di appartenenza dei beni (da B.II.1 a B.II.5), nei restanti casi.
Ai fini reddituali, occorre distinguere tra le spese di natura ordinaria e quelle di natura incrementativa. Nella determinazione del reddito d’impresa, le spese di manutenzione di natura non incrementativa sostenute su beni di terzi sono deducibili secondo i criteri ordinari (quindi interamente deducibili se inerenti e relative a beni che non subiscono limitazioni oggettive di deducibilità), atteso che il limite del 5% imposto dall’articolo 102, comma 6, del Tuir non si applica ai beni nella disponibilità del contribuente, ma di proprietà altrui.
Le spese incrementative su beni di terzi, se classificate nella voce B.I.7 dello Stato patrimoniale (altre immobilizzazioni immateriali), sono deducibili nel limite della quota imputabile a ciascun esercizio (ex articolo 108, comma 1, Tuir). Infatti, “i criteri civilistici di ripartizione delle spese in esame” costituiscono “presupposto per la determinazione della quota di dette spese imputabile al reddito dell’esercizio” (circolare ministeriale n. 73/E del 1994, paragrafo 3.36).
Se tali spese riguardano beni dotati di autonoma funzionalità, sono fiscalmente ammortizzabili secondo le regole proprie della categoria di appartenenza del bene, sulla base dei coefficienti fissati dal Dm del 31 dicembre 1988, in relazione al settore di attività dell’impresa (cfr risoluzione n. 179/2005).
A livello di imposta sul valore aggiunto, di assoluto interesse è la risoluzione n. 20/2025 (vedi articolo “Rimborso Iva e beni ammortizzabili, i chiarimenti dell’Agenzia”), in cui viene chiarito che è ammesso il rimborso Iva (articolo 30, comma 2, lettera c), Dpr n. 633/1972), anche per l’esecuzione di opere su beni di terzi di cui il soggetto passivo abbia il possesso o la detenzione per un periodo di tempo “medio-lungo”, anche a titolo diverso dalla proprietà e di cui abbia la detenzione.

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