Giurisprudenza

8 Maggio 2020

L’istanza di adesione se è una scusa non sospende i termini per ricorrere

Respinto il ricorso di una società che aveva presentato istanza di accertamento con adesione al solo scopo di procrastinare senza alcuna giustificazione i termini per la presentazione del ricorso. L’adesione, infatti, per produrre lo stop dei termini deve essere supportata dalla reale intenzione di voler definire la vertenza. Nel merito, inoltre, rileva l’Agenzia, in caso di contestazione di fatture inesistenti l’onere di fornire la prova contraria grava sul contribuente. È in sintesi il contenuto della sentenza n. 275/2020 della Ctp di Milano.

I fatti in causa
Il contenzioso originava da un avviso di accertamento, notificato da un ufficio milanese dell’Agenzia delle Entrate a una cooperativa in liquidazione, con cui l’amministrazione finanziaria  contestava alla compagine l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, oltre ad aver riscontrato la mancata dichiarazione di operazioni attive, anche se fatturate e rilevabili dall’analisi dei registri Iva.

Il contraddittorio processuale
Con il proprio ricorso avanti alla Ctp di Milano, la contribuente lamentava l’operato dell’Agenzia delle entrate, eccependo, principalmente, il difetto di delega di firma, la carenza di motivazione nonché il mancato assolvimento dell’onere della prova e l’effettività del rapporto commerciale.
L’Agenzia, di contro, riteneva pienamente legittimi i recuperi e insisteva nella pretesa impositiva, opponendo, in via pregiudiziale, l’inammissibilità del ricorso per tardività, in violazione dell’articolo 21 Dlgs n. 546/1992, in quanto, a fronte della notifica dell’atto avvenuta il 12 gennaio 2018, il ricorso era stato spedito il 7 giugno 2018.

In particolare, argomentava l’ufficio, anche tenendo conto dell’ampio termine, avendo la società presentato formale istanza di accertamento con adesione, la stessa richiesta era risultata nei fatti palesemente dilatoria: la cooperativa, infatti, aveva procrastinato il contraddittorio fino al mese di maggio 2018, senza addurre alcuna argomentazione a sostegno della stessa istanza e dichiarando di non avere disponibilità di documentazione utile, senza, quindi, possedere alcuna intenzione di concludere un accordo con il fisco.

Nel merito, infine, l’ufficio resistente rilevava la fondatezza della pretesa impositiva, anche alla luce della giurisprudenza di riferimento della Cassazione, secondo cui, qualora l’Agenzia contesti la deducibilità di costi documentati da fatture riconducibili a operazioni inesistenti, l’onere di fornire la prova contraria a tale assunto grava sul contribuente, che deve, appunto, dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni (ex multis, Cassazione n. 21953/2007).

La decisione del Collegio lombardo
La Ctp di Milano, applicando il principio processuale della “ragione più liquida” (Cassazione n. 9936/2014) accoglie l’eccezione erariale di inammissibilità del ricorso, restando assorbita ogni altra questione, sia di diritto che di merito.
Il giudice riscontra, infatti, conformemente alla prospettazione dell’ufficio, che l’istanza di accertamento con adesione presentata dalla società ricorrente si era rivelata una mera “scusa”, dilatoria, al fine di procrastinare senza alcuna giustificazione i termini per la presentazione del ricorso.
In tal senso – continua il Collegio meneghino – si era già espressa la Ctr Veneto che, con la sentenza n. 154/2011, ha affermato che, oltre alla forma, occorre la sostanza, vale a dire la reale e concreta intenzione di avviare un dialogo con l’ufficio per giungere ad una revisione della pretesa fiscale: pertanto, l’istanza di accertamento con adesione prodotta per meri fini dilatori e non seguita da alcun tentativo effettivo di adesione, è assolutamente ininfluente ai fini della sospensione dei termini di impugnazione.

Tale comportamento, infatti, si pone in aperto contrasto con la regola sancita dal legislatore nell’art. 10 dello Statuto del contribuente, che vuole i rapporti tra ufficio e contribuente improntati al principio della collaborazione e della buona fede, oltre a denunciare una situazione di disparità di trattamento rispetto a coloro che, impugnando direttamente gli atti tributari, senza istanza di adesione, hanno termini più ridotti per ricorrere.
Nel caso di specie, la cooperativa ha svuotato di ogni significato l’istanza riferita all’istituto invocato e la finalità per la quale il legislatore ha inteso concedere al contribuente il vantaggio della sospensione dei termini di impugnativa.
In definitiva, non è sufficiente che il contribuente presenti un’istanza solo formalmente denominata “istanza di accertamento con adesione” per vedersi attribuita dalla legge la sospensione dei termini, ma occorre, invece, che lo stesso dia contenuto concreto, reale ed effettivo all’istanza, dimostrando, con comportamento fattivo, di avere la volontà di avviare per lo meno un dialogo con l’ufficio.

La giurisprudenza di riferimento
Alla suddetta sentenza della Ctr Veneto, è seguita quella della Ctp di Treviso n. 73/2012.
In quest’ultimo deliberato, il Collegio provinciale si è spinto a configurare come “abuso del diritto” il descritto comportamento dilatorio, che viola i principi di correttezza e di buona fede, ex articolo 10 legge n. 212/2000, con conseguente inammissibilità dei ricorso, poiché presentato oltre i termini previsti dall’articolo 21, Dlgs n. 546/1992.
In sostanza, precisa il Collegio trevigiano, è necessario che la valutazione dell’effetto sospensivo dell’istanza avvenga ex post e non ex ante, tenendo, quindi, conto del comportamento concludente del contribuente/ricorrente.
In caso contrario, ove cioè si conferisse efficacia sospensiva automatica all’istanza presentata, la procedura di adesione si presterebbe ad essere svilita a mero strumento dilatorio, come successo nel caso da noi annotato, perdendo la sua qualificazione originaria di strumento amministrativo, con finalità preventive dell’insorgenza della lite tributaria e, quindi, deflattive del contenzioso.

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